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CANALE YOTUBE DI MISTERI E PROFEZIE

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mercoledì 2 novembre 2022

MISTERI DELL'ANTICHITA'


PITTURE RUPESTRI PREISTORICHE

 

Questa sorprendente impronta di mano color giallo ocra è il segno enigmatico di un pittore paleolitico.


Le si vedono regolarmente nelle grandi pitture rupestri dell'Europa occidentale, a volte appena delineate altre completamente colorate, parliamo delle impronte di mani di uomini primitivi.


Eppure, nella loro semplicità e familiarità, non sono meno eloquenti degli splendidi animali color giallo ocra che le circondano, nel raccontarci l'esistenza e le preoccupazioni degli uomini e delle donne di oltre 15.000 anni fa, la pienezza del palmo e dell'apertura delle dita, sembrano protendersi verso antichi misteri che ancora oggi continuano ad affascinare ed ossessionare la gente ovunque.


Profondamente radicati nel desiderio dell'uomo di capire e padroneggiare il proprio destino, questi antichi interrogativi indagano le realtà fondamentali della natura, del tempo, del destino, della vita e della morte, ma ci ricordano anche un'altra costante umana: il bisogno irresistibile di credere che alcuni fenomeni naturali siano intimamente legati al nostro comportamento e che il corso degli eventi possa dipendere dal nostro atteggiamento mentale nei loro confronti.

 

Incisione su roccia dell'Età del bronzo del 1.500 a.C. , trovata in Svezia, rappresenta alcuni guerrieri.

Questa doppia ambizione è stata una grande forza motrice nella storia dell'umanità e per migliaia di anni, l'uomo ha fatto ricorso alla magia, per soddisfare la propria curiosità ed esercitare il proprio potere.


Forse 50.000 anni fa, prima ancora che gli uomini delle caverne dipingessero le loro eroiche cacce sulle ruvide pareti di segrete spelonche, l'uomo di Neanderthal aveva già incominciato il suo viaggio nel mistero.

 

Petroglifo eseguito dagli Indiani dello Utah intorno al 1.000 d.C..

Armato di una crescente coscienza di sé e del trascorrere del tempo, fece i primi tentativi rudimentali per venire a patti con l'inevitabile esito della vita: la morte.


Nelle tombe primitive del Medio Oriente, sono stati trovati corpi di uomini di Neanderthal accuratamente sepolti in fosse, appositamente scavate nel suolo delle caverne con le loro armi e provviste di cibo accanto ad essi.


In alcune necropoli dell'Asia Centrale sono state trovate ed analizzate alcune varietà di polline che, dimostrerebbero che le popolazioni primitive, non soltanto seppellivano i loro morti con cura ma ne ornavano le spoglie con fiori e piante commestibili.


In una tomba preistorica scoperta in Cecoslovacchia sono stati ritrovati 14 scheletri, deposti sotto uno strato protettivo di pietre, legati l'un l'altro, forse per assicurare una comunione anche nell'aldilà.


In un'altra località della Moravia, venne alla luce il corpo di una donna sepolto sotto le scapole giganti di un mammut e cosparso di ocra rossa, forse simbolo del sangue vivificante, nel tentativo di imitare le posizioni più familiari dei viventi o simboleggiare una sorta di rinascita.

 

CAVERNA DI LASCAUX E CAVERNA DI TROIS-FRERES




La Venere di Willendorf è una statuetta di pietra calcarea risalente al 25.000 a.C. raffigurante una donna prosperosa.

Fin dai tempi in cui si cercava di esorcizzare la paura della morte e di dare un nuovo significato alla fine dell'esistenza, l'uomo primitivo tentò di riprodurre nell'osso e nella pietra, le fattezze di renne, cavalli, bisonti e donne fertili, come la Venere di Willendorf.

 

Questi dipinti e manufatti eleganti e magnificamente colorati, con l'idea del movimento e la vivacità delle forme, dimostrano la particolare natura magica di queste creazioni.

 

Circa 25.000 anni fa in Europa i cacciatori diedero inizio ad una pregevole attività: la decorazione di armi ed utensili, pezzi di avorio e statuette della fertilità.

 

In alcune grotte, come quelle di Altamira in Spagna, Pech-Merle, Lascaux e Trois-Frères in Francia, questa particolare natura risalta immediatamente e ci avvicina di un balzo, superando 15.000 anni di storia, al pittore paleolitico.


Nel suo libro The Magical Arts, lo scrittore Cottie Arthur Burland a proposito della caverna di Lascaux diceva: "Il solo fatto di trovarsi in quelle caverne buie è di per sé un'esperienza magica. Non esiste più il mondo esterno di luce e movimento, ma soltanto un luogo oscuro le cui pareti sono popolate, qua e là, da animali. Si tratta per lo più di animali cacciati per la loro carne, buoi selvatici, grassi cavallini, bisonti e cervi. In quella buia solitudine, l'uomo moderno è costretto a soffermarsi un attimo sui tempi remoti in cui nessuno aveva ancora seminato il grano o coltivato un giardino. Ma quegli antichi cacciatori erano uomini come noi, dotati di un ingegno artistico e di un'abilità tecnica nello scheggiare la selce e nello scolpire l'avorio, che molti di noi potrebbero invidiare".

 

Mappa delle grotte di Lascaux.

Molte delle figurazioni rupestri paleolitiche sono state trovate in profonde caverne e mai nelle zone abitate in superficie, dove eseguivano i lavori con la luce di una torcia e si difendevano, da eventuali predatori, con pezzi di selce scheggiati o pirite di ferro.


Questo dimostra quanto doveva essere importante per loro, riprodurre queste figure di animali in quelle grotte oscure, lontano dal mondo esterno e familiare, che erano fuori dall'entrata della caverna.

Lo stregone di Les Trois Frères.

Molte immagini sono state dipinte ad un'altezza raggiungibile mediante un rialzo di terra oppure con un sostegno di legno ed alcuni dipinti sono stati eseguiti in tempi diversi, addirittura con intervalli di 10 o più anni, anche su creazioni già esistenti, come se avessero perso la loro importanza.


Inoltre, è stato scoperto che, le riproduzioni di animali pericolosi, quali il bisonte ed il rinoceronte, erano più frequenti di quelle di animali cacciati per la loro carne, come le renne, di cui sono state trovate ossa nelle zone abitate, forse per ridurne il potere.


Quando comparivano impronte di mani nelle pareti, se si trattava della mano sinistra erano delineati solo i contorni, altrimenti, se si trattava della destra l'impronta era colorata per intero.

 

Per dominare le loro prede con la magia, i cacciatori paleolitici, secondo molti studiosi, crearono ritratti di animali nel fondo di alcune grotte in Spagna ed in Francia, come queste delle Grotte di Lascaux.

Le figure di animali dipinte, potrebbero essere state dei Totem, magari disegnati durante qualche rito di iniziazzione di gruppi o tribù, che si identificavano con i poteri e le caratteristiche che le figure rappresentavano.


Potrebbero essere anche simboli magici, che avevano lo scopo di assicurare il successo ai cacciatori o di aumentare l'abbondanza delle prede.


Ipotesi riunite dal prof. François Bordes, interpretando una pittura rupestre di Lascaux, che rappresenta un rinoceronte, un bisonte alla carica con i fianchi trafitti da frecce e da lance ed un uomo con una maschera d'uccello che cade all'indietro davanti il bisonte, (vedi foto sotto): "Vi racconterò a modo mio la storia di questo dipinto, una storia di fantascienza. Una volta, un cacciatore appartenente al totem dell'uccello, fu ucciso da un bisonte. Uno dei suoi compagni, membro del totem del rinoceronte, scese nella caverna e riprodusse la scena della morte dell'amico e la propria vendetta. Il bisonte è trafitto da lance e frecce ed appare sventrato, probabilmente dal corno del rinoceronte".

Scena dipinta nella Grotta di Lascaux che rappresenta l'uccisione di un uomo da parte di un bisonte trafitto da frecce.

Da ciò si deduce che i dipinti, potrebbero essere stati eseguiti. durante cerimonie rituali e gli artisti stessi potrebbero essere stati considerati come persone particolari, dotate di poteri magici, i primi sciamani o sacerdoti.


Nella grotta di Trois-Frères c'è una figura composita uomo-animale, (vedi foto sotto), che potrebbe rappresentare questa figura di sciamano, con i suoi grandi occhi, le corna di cervo, le zampe d'orso e la coda di cavallo, fluttua in una stretta nicchia in cima ad una parete di 4 metri dal suolo.


Le popolazioni preistoriche, vivevano in un mondo che esse, ritenevano popolate da spiriti, detto "animismo", termine per designare questa concezione primitiva, e mediante simboli e rituali, cercavano di dominare il loro ambiente per affrontare meglio i molti pericoli dell'esistenza quotidiana.

 

MAGIA IMITATIVA E MAGIA CONTAGIOSA


Esempio di magia imitativa detta anche magia simpatica.

L'antropologo scozzese James Frazer, sosteneva che: "Il primo principio di magia, che il simile produce il simile, cioè che un effetto somiglia alla propria causa, e secondo, che le cose che una volta sono state in contatto l'una con l'altra, continuano ad interagire a distanza, dopo che il contatto fisico è venuto meno".

Frazer chiama il primo tipo "Magia Imitativa": la rappresentazione di una renna colpita da una lancia, può dar luogo alla sua uccisione effettiva.

Il secondo tipo, invece, "Magia Contagiosa": l'unghia di un leone delle caverne può portar con sé il potere e la ferocia dell'animale.

Questi due dogmi magici, si svilupparono quando si formarono le società agricole, lungo le coste orientali del Mediterraneo, e gli agricoltori erano più stabilmente insiediati rispetto ai cacciatori e quindi dipendevano maggiormente dagli avvicendamenti delle stagioni, dal flusso e riflusso dei fenomeni naturali.

In Egitto, Grecia e Roma, col passare dei secoli i riti si moltiplicarono a tal punto che, nel I° secolo d.C., Plinio il Vecchio deplorava che la magia, "Imprigionando i sentimenti dell'uomo in una triplice catena, (paura della malattia, degli dei e del futuro), avesse raggiunto un punto tale da dominare tutto il mondo ed in Oriente, da governare lo stesso Re dei Re".

Nel IV° millennio a.C. nella zona dell'attuale Iraq, l'importanza della magia crebbe con gli antichi Sumeri e con i popoli che li seguirono, cioè gli Assiri e Babilonesi.

I Sumeri, inventori della scrittura e costruttori di città, vedevano o credevano di vedere, fantasmi e demoni in ogni anfratto, in ogni angolo della strada ed in ogni luogo, riempiendo i cieli di dei di ogni sorta, da Anu, dio del cielo, a Inanna, regina del cielo e della terra.

Attraverso gli oracoli e l'interpretazione dei sogni, un monarca sumero di nome Gudea, ricevette istruzioni particolareggiate per la costruzione di un tempio dedicato al dio Ningirsu, che poi fece prosperare la sua città.

Eppure, queste figure celesti erano in un primo tempo divinità remote, che non interferivano nella vita quotidiana dei popoli della Mesopotamia, cosa che facevano, invece, i fantasmi ed i demoni.

Un rito, creato per allontanare le anime dei morti, richiedeva l'uso di una pozione fatta con aceto, acqua di fiume, acqua di pozzo ed acqua di fosso, mescolate e bevute reggendo una torcia e rivolgendo agli dei particolari suppliche.

 

ABRADA KE DABRA


Amuleto d'argento recante la formula magica amuleto Abrada Ke Dabra.

Gli incantesimi basati su una "Parola di Potere", ovvero trascritta o ripetuta ogni volta con una lettera in meno, sottratta alla parte terminale del vocabolo, finchè rimaneva una sola lettera.

Uno di questi scongiuri, fu trovato su un'antica tavoletta sumera, chiamata "Abrada Ke Dabra", che significava "Muori come la parola" o per altri "Invia la tua folgore finchè morte non sopraggiunga".

In epoca romana questa parola divenne "Abracadabra", così come la conosciamo oggi e, gradualmente, parole e rituali magici trascesero il loro primitivo scopo di autoprotezione per diventare malefici, facendo nascere la "Magia Nera", (leggi qui il mio articolo sulla magia nera).

Su un antico rullo per stampare l'argilla, si legge la seguente imprecazione contro le fattucchiere: "O fattucchiera, come gira questo rullo così possa girare la tua faccia e diventare verde".

Intorno al 2.000 a.C., le pratiche occulte di questo tipo furono messe fuori legge da Hammurabi.



CICLO EPICO DI GILGAMESH

 

Le 12 tavolette d'argilla che raccontano l'epopea di Gilgamesh.


Una delle più antiche pratiche divinatorie era l'interpretazione dei sogni, (leggi qui il mio articolo sulle diagnosi mediche basate sui sogni).

Ne troviamo traccia nel ciclo epico di Gilgamesh, saga di un dio per metà animale e per metà uomo, che risale per tradizione orale al 4.000 a.C..

In uno di questi, Gilgamesh sconfigge ed uccide una grande bestia, (vedi foto sotto), un mostro simile ad un drago, che potrebbe essere il precursore dei draghi delle leggende della Tavola Rotonda.

 

Con l'aiuto degli dei sumeri a lui favorevoli, Gilgamesh, eroe e semidio, sconfisse bestie feroci, mostri ed un re, governò una potente città e fece rivivere lo spirito di un amico morto.

In un altro racconto, egli si prepara allo scontro finale con il suo nemico Enkidu e prima della battaglia, Gilgamesh sogna l'avanzata del nemico e racconta il sogno a sua madre: ella profetizza che il combattimento sarebbe sfociato in un'amicizia, facendo in un certo senso, la prima interpretazione di un sogno.


Ed infatti così accadde e da quel momento, per migliaia di anni la gente portò amuleti di Gilgamesh, raffiguranti i due nemici in lotta, (vedi immagine sotto).


Gilgamesh combatte contro Enkidu.


EPATOSCOPIA OVVERO LETTURA DEL FEGATO


Epatoscopia assiro-babilonese.

Un'altra forma di divinazione era l'Epatoscopia, ossia la lettura del fegato, praticata dai Babilonesi, i quali credevano che il fegato fosse la sede dell'anima e facevano predizioni senza fine, basandosi sul numero di lobi e vasi sanguigni.

Un'altra tecnica consisteva nell'esaminare le viscere di altri animali, tra cui le pecore dal collo tozzo e dagli occhi rossi, che avevano intestini avvolti 14 volte, mentre quelle grandi con occhi storti non avevano affatto intestini.

Gli Assiri veneravano un gigante, chiamato Humbaba, (vedi foto sotto), la cui faccia era formata dalle viscere attorcigliate in modo tortuoso.

Quando negli intestini di una pecora, venivano intravisti i lineamenti di Humbaba, gli indovini ne traevano presagi di sventura.

Ai nostri giorni, tali teorie e tecniche possono sembrare assurde, eppure gli Assiri ed i Babilonesi praticavano già una forma di divinazione, alla quale milioni di persone si dedicano ancora oggi, ovvero l'Astrologia, l'arte di leggere il futuro nel movimento dei pianeti e delle stelle, nel principio di "Così in cielo, come in Terra".


NASCITA DELL'ASTROLOGIA BABILONESE


Astrologia Babilonese.

La loro era una società agricola di coltivatori e mietitori, basandosi sulle stelle per conoscere il tempo della semina, sviluppando l'adozione della circonferenza di 360°, basata sul concetto sumero di 360 giorni, in cui le stelle percorrono un solo grado ogni notte, (leggi il mio articolo per l'oroscopo personalizzato).

Il movimento degli astri, da parte dei Babilonesi, diede origine allo Zodiaco e le sue dodici case, nonchè allo sviluppo di una particolare casta di sacerdoti, che si dedicava allo studio delle stelle, gli astrologi, abili nelle loro predizione non meno di coloro che leggevano il futuro basandosi sulla forma del fegato o delle viscere.

Una di tali predizioni astrologiche, si esprimeva come segue: "Durante la notte Saturno si è avvicinato alla Luna. Saturno è una stella del Sole. Ecco la soluzione, è favorevole al Re, perchè il Sole è la stella del Re".

Un'altra, fatta da un antico astrologo, diceva: "Se la Luna apparirà il 15° giorno, Akkad prospererà e Subartu declinerà; se la Luna apparirà il 16° giorno, Akkad e Ammuru cadranno mentre Subartu prospererà; se la Luna apparirà il 17° giorno, Akkad e Ammuru prospereranno e Subartu declinerà".

Marco Tullio Cicerone.

Gli oroscopi personali si diffusero solo nel 200 a.C., per merito dei Greci macedoni che vivevano ad Alessandria, ma ci vollero secoli prima che, Cicerone e Plinio il Vecchio, sottolineassero alcuni difetti basilari nel ragionamento astronomico.

Plinio il Vecchio.

I due autori classici sostenevano, per esempio, che i gemelli nati sotto la stessa stella, avrebbero dovuto avere destini identici, mentre questo raramente avveniva.


AMULETI EGIZI E PRATICHE MAGICHE



Lo Scarabeo era il più importante e potente amuleto nella cultura egizia.


Mentre gli Assiro-Babilonesi ricorrevano spesso a riti e rituali per difendersi dai mostri e dalle anime vaganti, gli Egizi si servirono delle arti magiche per assicurarsi, in un paese ossessionato dalla morte, il passaggio verso un'aldilà felice nelle Terre del Tramonto.

Le pratiche magiche degli Egizi, si ispiravano ad una credenza che sopravvive ancora oggi: cioè che certe parole o gruppi di parole, disposte nel modo giusto e pronunciate con la giusta intonazione, possano acquisire una forza particolare.

Queste sono note come "Parole di Potere" e se pronunciate dai maghi egizi, fossero capaci di scatenare eventi straordinari.

Un antico manoscritto riporta una pratica magica del mago Teta: "Allora qualcuno gli portò un'oca e, dopo averle tagliato il capo, ne depose il corpo sul lato occidentale del colonnato ed il capo sul lato orientale. Teta si alzò allora in piedi e pronunciò alcune parole magiche, dopo di che il corpo iniziò a muoversi e così fece anche il capo ed ogni volta che si muovevano, si avvicinavano l'uno all'altro, finchè in conclusione, il capo ritornò al suo posto sul collo dell'uccello, che immediatamente iniziò a starnazzare".

Gli Egizi erano veramente convinti che questi fenomeni potessero verificarsi, in quanto non conoscevano i segreti dei trucchi, e credevano che la magia di queste formule incantatorie potesse trasferirsi ad oggetti come amuleti, che venivano usati allo stesso modo in cui gli uomini preistorici usavano le loro piccole sculture di animali e di simboli di fertilità.

In Egitto, uomini, donne e bambini portavano un amuleto al collo, molti erano raffinati gioielli altri recavano una semplice scritta e sciogliendo gli inchiostri di questi talismani, si ottenevano pozioni magiche dove erano stati scritti scongiuri e sortilegi.

L'Occhio di Horo o Horus ed il Nodo di Iside, erano entrambi amuleti famosi, ma il più famoso di tutti era lo Scarabeo, simbolo di vita dedicato a Ra, dio del Sole, e modellato sulle fattezze dell'umile scarabeo stercorario.

Simbolo egizio dell'occhio di Horo.

Nei riti funebri, lo scarabeo era usato per sostituire il cuore e di solito aveva una formula magica incisa sul dorso, spesso un'evocazione ad un dio per ottenere l'immortalità.

Amuleto egizio chiamato Nodo di Iside.

Tra gli involucri e le bende della mummia di Tutankhamon ne furono trovati 150 di questi amuleti.

In seguito, l'insetto fu associato al potere dello scarabeo sacro e le donne sterili facevano seccare e riducevano in polvere l'animale, nella speranza che una pozione fatta con tale ingrediente, le aiutasse a concepire.

La Croce Ansata, detta Ankh, era una croce con il braccio superiore ad anello, che appariva frequentemente al pari dello scarabeo, rappresentando la vita e l'immortalità.

La Croce Ansata o Ankh rappresenta la vita e l'immortalità.


STATUETTE USHABTI EGIZIE


Gli Egizi credevano che le formule magiche potessero trasformare certe statuette, dette Ushabti, in alacri servitori dell'aldilà.


Gli Egizi credevano che le figure umane potessero essere animate dagli incantesimi e quindi, durante i funerali, venivano desposte nelle tombe, statuine di terracotta, legno o pietra, chiamate "Ushabti", destinate a rappresentare ed a sostituire il defunto nell'aldilà, nel caso che questi fosse stato chiamato a lavorare per gli dei e nella tomba di Seti I, ne furono trovate circa 700 di queste statuine.

 

Busto di Seti I.

Introdussero anche una pratica magica che è stata molto ripresa in seguito e viene usata ancora oggi per scopi malefici: Le figure di Cera.


Un antico racconto narra che il faraone Nectanebo II , combatté vere e proprie battaglie con marinai e flotte di navi di cera, in un catino d'acqua.

 

Il faraone Nectanebo II.

Quando il faraone affondava i suoi nemici di cera, una vera nave del nemico affondava, finché gli dei, irritati da queste manipolazioni, intervennero e fecero vincere le figurine di cera, e Nectanebo II fuggì in Grecia ed aprì una bottega dove prestava le sue arti di medico e di mago.



TESTI DELLE PIRAMIDI E TESTI DEI SARCOFAGI



Testi delle piramidi sulle pareti della camera sepolcrale del faraone Teti.


La credenza degli Egizi nel potere delle parole magiche, raggiunse la sua massima espressione nei testi funerari, ed i più antichi sono chiamati "Testi delle Piramidi", scritti in geroglifici nel 2.500 a.C. e trovati all'interno di alcune piramidi di Saqqarah.


Formano un volume di invocazioni, inni, incantesimi e formule speciali create per aiutare il faraone defunto a raggiungere l'immortalità.


Invece i "Testi dei Sarcofagi", erano dipinti sui lati delle bare di legno e servivano a placare il bisogno di cibo e di bevande del defunto e procurargli una provvista di aria fresca.


Testi dei Sarcofagi.


LIBRO DEI MORTI E LETTERE AI MORTI


Libro dei Morti del popolo egizio.


Il testo più famoso, chiamato "Libro dei Morti", scritto su un papiro, comprendeva illustrazioni ed amuleti ad uso del defunto nell'aldilà, preghiere per proteggerlo dai demoni e parole speciali, per aumentare il potere degli amuleti destinati a tener lontano vermi, ladri di tombe e perfino la muffa.

Il defunto, avrebbe dovuto superare una serie di prove , per poi arrivare al cospetto di Osidire, davanti alla quale avrebbe potuto lavorare e vivere tranquillamente nell'aldilà, ed avrebbe utilizzato le statuette Ushabti, nel caso avesse voluto riposarsi.

Le "Lettere ai Morti" o anche "Proclamazione del Servizio di Mantenimento", erano particolari messaggi scritti su vasi, che contenevano le provviste di cibo per i defunti.

Tali iscrizioni supplicavano il morto ad aiutare i vivi, mentre altre esprimevano il timore che il morto potesse ritornare per vendicarsi.

Una di queste formule, risalente al 71 a.C., reca il messaggio di una domma morta prima del marito: "Non so più dove sono, ora che sono arrivata in questa Valle dei Morti. Se almeno potessi dissetarmi da un ruscello o volgere il viso al vento del Nord, in modo che il suo refrigerio plachi l'angoscia del mio cuore".


ORACOLO DI DELFI ED ORACOLO DI DODONA



L'Oracolo di Delfi, sul monte Parnaso, era il più famoso dell'antica Grecia. Per 1.000 anni vi si recarono coloro che volevano conoscere il proprio futuro.


Nell'Antica Grecia trovò la sua massima espressione, un concetto divinatorio per il quale, un uomo allo stato cosciente che non avrebbe potuto prevedere il futuro, lo avrebbe potuto fare in uno stato di coscienza alterato, prevedendo eventi che si sarebbero compiuti in seguito.

L'Oracolo di Delfi, dedicato ad Apollo e costruito sui versanti meridionali del monte Parnaso, sopra un crepaccio vulcanico ed avvolto dai vapori di zolfo, era il più famoso della Grecia antica.

La Pizia, massima sacerdotessa dell'oracolo, sedeva sopra un tripode in mezzo ai vapori sulfurei e, quando parlava, la sua bocca schiumava e ne uscivano discorsi oscuri, dal timbro vocale alterato e quando si risvegliava dallo stato di trance, non ricordava nulla delle sue profetiche parole, dando prova dell'intervento divino.

 

Pizia la sacerdotessa dell'Oracolo di Delfi.

I suoi messaggi erano così confusi ed ambigui, da richiedere l'intervento di speciali sacerdoti per interpretarli in versi, a volte anche secondo i propri interessi ed interrogare l'Oracolo di Delfi era molto costoso e non accessibile a tutti.

Invece, l'Oracolo di Dodona, nella regione dell'Epiro, dedicato a Zeus, era accessibile alla gente comune, che li si recava per porre quesiti da scrivere su lamine di piombo, dalle quali ricevere in risposta un si od un no.

Le lamine erano poste all'interno di un'urna ed una sacerdotessa le prendeva una per una, indicando allo stesso tempo se la risposta del dio era positiva o negativa.

Oracolo di Dodona.

Alcune di queste domande sono arrivate ai giorni nostri, come: "Lisania chiede a Zeus se il figlio che Annila porta in grembo è suo oppure no", un altro domandava: "Leonzio chiede se suo figlio Leone guarirà dalla malattia che gli attanaglia il petto".

PITAGORA


Pitagora, grande iniziato dell'antichità, prende appunti mentre un allievo regge una lavagna sulla quale è rappresentata la Tetractys, la piramide dei primi dieci numeri sacrim in questo dipinto di Raffaello.

Una delle figure più straordinarie dell'antica Grecia, fù senza dubbio Pitagora, (leggi qui il mio articolo su Apollonio di Tiana).

Nato nell'isola di Samo, nel VI secolo a.C., si recò in Egitto ed in Oriente, per poi stabilirsi in Italia, a Crotone, nel 530 a.C., dove fondò una società segreta allo scopo di diffondere le proprie teorie filosofiche.

Secondo la leggenda era dotato di poteri straordinari, in quanto riusciva a rendersi invisibile, a camminare sulle acque ed aveva la facoltà di far apparire o scomparire oggetti.

Credeva nelle arti empiriche e faceva uso di canti e di rituali, ed affermava di ricordare alcune sue incarnazioni precedenti, avvicinandosi ai concetti orientali della reincarnazione.

Fu però con i numeri che Pitagora cercò di spiegare l'apparente caos dell'esistenza umana, proponendo un ordine più esauriente ancora di quello già contemplato dai primi astrologi.

Nella Metafisica, Aristotele, (leggi qui i miei articoli in proposito Atlantide  ed Alchimia), pur opponendosi ai pitagorici, cercò di spiegarne la filosofia.

Lo stesso riferisce: "Essi ritenevano che tutte le cose sono numeri, potendosi interpretare, per esempio, la tale manifestazione numerica come giustizia, la talaltra come anima e ragione, un'altra ancora come congiuntura favorevole, e così via quasi tutte le altre cose di possono esprimere numericamente".

Secondo un antico racconto, l'interesse di Pitagora per i numeri, nacque quando scoprì che, le quattro note principali della scala musicale greca, erano in correlazione tra di loro.

Egli, passando davanti la bottega di un fabbro, mentre quattro apprendisti battevano quattro incudini di misure diverse, comparò i pesi delle rispettive incudini e scoprì che erano nella proporzione di 6, 8, 9 e 12.

Ne dedusse che esistevano, tra tutte le cose del creato, analoghe interrelazioni numeriche, quindi, secondo Aristotele, i pitagorici presupponevano che, gli elementi dei numeri, fossero elementi di tutte le cose e che l'intero cielo fosse una scala musicale ed un numero.

Questa teoria si fondava sulla credenza che tutte le cose corrispondano ad un numero e che il numero di una cosa, come il suo nome, abbia un particolare significato magico.

Ad esempio, il numero base del nome di una persona, può essere determinato e poi usato per descriverne il carattere e prevedere eventi futuri.

Per ottenere tale numero, si assegna, con vari sistemi, un numero ad ogni lettera dell'alfabeto e poi si fa la somma di questi numeri.

Se il risultato dà una cifra di due numeri, (ad esempio 16), i due numeri vengono sommati ed il risultato, (7), rappresenta il numero base, ovvero persone introverse e capaci di mantenere un forte autocontrollo.


FANTASMI DELL'ANTICA ROMA


Atenodoro Cananita che raccontò del fantasma nella sua dimora.


A Roma, gli spettri erano oggetto di costante preoccupazione, come nella famosa vicenda, raccontata da Plinio il Giovane, alla fine del I secolo d.C.., (leggi il mio articolo sui fantasmi famosi dell'Antica Roma).

La storia narra che un filosofo di nome Atenodoro, aveva preso in affitto una casa, ad un prezzo molto basso, ma ogni notte era disturbato da rumori di catene.

Ben presto gli apparve il fantasma di un vecchio emaciato e sudicio, con barba e capelli lunghi e fluenti, che trascinava catene attaccate ai polsi e caviglie.

Plinio il Giovane.

Lo spettro condusse Atenodoro in cortile e poi svanì ed il mattino seguente alcuni funzionari scavarono, nel punto in cui era comparso l'uomo, e scoprirono uno scheletro con le mani ed i piedi incatenati.

Gli diedero la giusta sepoltura e non si fece più vedere.

Durante l'Impero romano i morti dovettero essere continuamente placati, come racconta Ovidio, quando si ometteva di celebrare una ricorrenza in onore dei defunti: "Gli abitanti della città sentirono i loro antenati lamentarsi, nelle quiete ore della notte, e si raccontavano l'un l'altro come l'incorporea corte di spettri mostruosi, usciti dalle loro tombe, gridasse lungo le vie della città e su e giù per i campi".

Si credeva che entità immateriali e fantasmi, fossero dappertutto, tanto che ogni azione quotidiana aveva un corrispondente spirito ed un nome: Ednea per il mangiare, Potina per il bere, Pecunia per il denaro, Cloacina per le fogne e Mefite per i cattivi odori.


Presagio e segni erano all'ordine del giorno, dall'aspetto del Sole ai fulmini in cielo, dalla divinazione degli organi animali al suono delle voci ultraterrene.


ASTROLOGIA E STREGONERIA NELL'ANTICA ROMA



Cerimonia iniziatica dionistica: ad un neofita viene mostrata, riflessa in un recipiente, una maschera terrifica, simbolo delle passioni che dovrà abbandonare, in questo affresco della Villa dei Misteri a Pompei.


Anche l'astrologia occupava un posto d'onore a Roma, infatti gli astrologi venivano addirittura nelle case dei ricchi e dei potenti.

Ritenevano che il cielo fosse costituito da tante sfere di cristallo, ognuna delle quali girava intorno alla Terra e recava, sulla sua superficie, il Sole o la Luna od uno dei pianeti, ed al di là di essi vi era una grande sfera che comprendeva tutte le altre stelle fisse.

Un'altra credenza molto radicata, era quella nelle streghe e nei loro riti, (leggi qui il mio articolo sulla stregoneria e quello sulla Strega dei Bell).

Orazio ci descrive le macchinazioni di due streghe, che andavano di nascosto a raccogliere erbe sotto la luna nuova, poi servivano un banchetto di agnello nero e modellavano statuette di cera delle loro vittime.

Non sorprende che Plinio il Vecchio, parlando della magia, dicesse: "Il suo ascendente è stato molto grande, perchè era la sola arte che riunisse in sé anche le tre discipline di maggior richiamo sulla mente umana", riferendosi alla medicina, alla religione ed alle arti divinatorie.

Il filosofo greco, Giamblico, vissuto in Egitto nel IV secolo d.C., ci descrive le cerimonie di iniziazione dei nuovi membri della "Setta dei Magi", la famosa società segreta di maghi persiano che diedero il nome alla magia stessa.

Il filodofo greco Giamblico.

Secondo il racconto di Giamblico, il nuovo aspirante era condotto attraverso un portone massiccio, che si trovava tra le zampe anteriori della Sfinge e veniva sottoposto ad una serie di prove di coraggio.

Doveva affrontare un mostruoso spettro meccanico, strisciare attraverso una galleria che si restringeva via via, guardare uno stagno che sembrava senza fondo, restare appeso ad un anello di ottone, rischiare la morte per avvelenamento e resistere alle lusinghe di giovani danzatrici.

Finalmente, una volta superate le prove, l'iniziato era istruito nei doveri di uno Zealot, rango che si era così meritato, ed a quel punto gli veniva data una dimostrazione di quanto poteva succedere, a chi avesse rotto il giuramento di segretezza dei magi.

"Ai piedi dell'altare si scoperchiava una botola di ottone, che si apriva sopra ad un pozzo, da cui giungeva un rumore di catene e di lotta, seguito dai ruggiti di una fiera e dall'urlo di una voce umana, in preda ad una spaventosa agonia, poi più niente, soltanto un freddo silenzio sepolcrale".





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