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venerdì 25 novembre 2022

MESSA NERA

MESSA NERA


Storia Nascita e Spiegazione di una Messa Nera


simbolo satanico messa nera

Simbolo Satanico


E' una cerimonia occulta, parodia della Santa Messa, con paramenti neri anzichè bianchi, preghiere dette alla rovescia, blasfemia invece della pietà, lussuria al posto della castità, adorazione di Satana invece di Dio.


doreen valiente satanismo

La scrittrice e poetessa Doreen Valiente.


Secondo Doreen Valiente, una sacerdotessa wiccan inglese, la messa nera non appartiene alla vera stregoneria, poichè quest'ultima ha tradizioni e rituali propri, e la vera strega è pagana ed il vecchio dio cornuto delle streghe è molto più antico della Cristianità o di Satana.

Rossell Hope Robbins satanismo

Rossell Hope Robbins


Secondo il prof. Rossell Hope Robbins, che curò un'opera sulla stregoneria e la demonologia, un caso di accertata messa nera, è documentata ed ebbe luogo in Francia nel 1672, durante il regno di Luigi XIV.

 

MESSA NERA ALLA CORTE DI VERSAILLES

 

L'amante del Re Sole.

La marchesa di Montespan, amante ufficiale del Re, fu l'istigatrice di una serie di messe nere, nella speranza di riconquistare il favore del Re ed impedirgli di abbandonarsi nelle braccia di dame di corte più giovani e seducenti.

Dopo aver avuto 7 figli dal Re ed arrivando a pesare intorno ai 100 kg., Madame de Montespan richiese i buoni uffici della famigerata Catherine Deshayes, vedova Monvoisin, detta "La Voisin".

La Voisin Montespan

Catherine Deshayes detta La Voisin

Questa donna, che aveva la fama di aver procurato circa 2.500 aborti, era anche una grande esperta di veleni e lavorava con vari complici-cospiratori, tra cui il più famoso era l'Abate Guibourg.

Quest'ultimo, padre di numerosi figli, uomo senza scrupoli, ideò una messa nera per riunire il Re e la sua amante.

Durante la cerimonia fu sacrificato un bambino ai demoni Astaroth ed Asmodeo, in quanto il primo aveva fama di ottenere favori dai potenti, il secondo, invece, quella di sterminare persone indesiderate.


abate etienne Guibourg

L'Abate Etienne Guibourg fu coinvolto nell'Affare dei Veleni, durante il Regno di Luigi XIV

 

Altri resoconti di messe sataniche sono pure invenzioni degli Inquisitori del XVI e XVII secolo e di autori come Donatiel Alphonse Francois, conosciuto come il Marchese De Sade, uomo perverso e molto discusso all'epoca, il quale nel suo primo romanzo Juliette, narra e descrive torture, incesti, omicidi, stupri, infanticidi ed un oscuro satanismo.







mercoledì 2 novembre 2022

MISTERI DELL'ANTICHITA'


PITTURE RUPESTRI PREISTORICHE

 

Questa sorprendente impronta di mano color giallo ocra è il segno enigmatico di un pittore paleolitico.


Le si vedono regolarmente nelle grandi pitture rupestri dell'Europa occidentale, a volte appena delineate altre completamente colorate, parliamo delle impronte di mani di uomini primitivi.


Eppure, nella loro semplicità e familiarità, non sono meno eloquenti degli splendidi animali color giallo ocra che le circondano, nel raccontarci l'esistenza e le preoccupazioni degli uomini e delle donne di oltre 15.000 anni fa, la pienezza del palmo e dell'apertura delle dita, sembrano protendersi verso antichi misteri che ancora oggi continuano ad affascinare ed ossessionare la gente ovunque.


Profondamente radicati nel desiderio dell'uomo di capire e padroneggiare il proprio destino, questi antichi interrogativi indagano le realtà fondamentali della natura, del tempo, del destino, della vita e della morte, ma ci ricordano anche un'altra costante umana: il bisogno irresistibile di credere che alcuni fenomeni naturali siano intimamente legati al nostro comportamento e che il corso degli eventi possa dipendere dal nostro atteggiamento mentale nei loro confronti.

 

Incisione su roccia dell'Età del bronzo del 1.500 a.C. , trovata in Svezia, rappresenta alcuni guerrieri.

Questa doppia ambizione è stata una grande forza motrice nella storia dell'umanità e per migliaia di anni, l'uomo ha fatto ricorso alla magia, per soddisfare la propria curiosità ed esercitare il proprio potere.


Forse 50.000 anni fa, prima ancora che gli uomini delle caverne dipingessero le loro eroiche cacce sulle ruvide pareti di segrete spelonche, l'uomo di Neanderthal aveva già incominciato il suo viaggio nel mistero.

 

Petroglifo eseguito dagli Indiani dello Utah intorno al 1.000 d.C..

Armato di una crescente coscienza di sé e del trascorrere del tempo, fece i primi tentativi rudimentali per venire a patti con l'inevitabile esito della vita: la morte.


Nelle tombe primitive del Medio Oriente, sono stati trovati corpi di uomini di Neanderthal accuratamente sepolti in fosse, appositamente scavate nel suolo delle caverne con le loro armi e provviste di cibo accanto ad essi.


In alcune necropoli dell'Asia Centrale sono state trovate ed analizzate alcune varietà di polline che, dimostrerebbero che le popolazioni primitive, non soltanto seppellivano i loro morti con cura ma ne ornavano le spoglie con fiori e piante commestibili.


In una tomba preistorica scoperta in Cecoslovacchia sono stati ritrovati 14 scheletri, deposti sotto uno strato protettivo di pietre, legati l'un l'altro, forse per assicurare una comunione anche nell'aldilà.


In un'altra località della Moravia, venne alla luce il corpo di una donna sepolto sotto le scapole giganti di un mammut e cosparso di ocra rossa, forse simbolo del sangue vivificante, nel tentativo di imitare le posizioni più familiari dei viventi o simboleggiare una sorta di rinascita.

 

CAVERNA DI LASCAUX E CAVERNA DI TROIS-FRERES




La Venere di Willendorf è una statuetta di pietra calcarea risalente al 25.000 a.C. raffigurante una donna prosperosa.

Fin dai tempi in cui si cercava di esorcizzare la paura della morte e di dare un nuovo significato alla fine dell'esistenza, l'uomo primitivo tentò di riprodurre nell'osso e nella pietra, le fattezze di renne, cavalli, bisonti e donne fertili, come la Venere di Willendorf.

 

Questi dipinti e manufatti eleganti e magnificamente colorati, con l'idea del movimento e la vivacità delle forme, dimostrano la particolare natura magica di queste creazioni.

 

Circa 25.000 anni fa in Europa i cacciatori diedero inizio ad una pregevole attività: la decorazione di armi ed utensili, pezzi di avorio e statuette della fertilità.

 

In alcune grotte, come quelle di Altamira in Spagna, Pech-Merle, Lascaux e Trois-Frères in Francia, questa particolare natura risalta immediatamente e ci avvicina di un balzo, superando 15.000 anni di storia, al pittore paleolitico.


Nel suo libro The Magical Arts, lo scrittore Cottie Arthur Burland a proposito della caverna di Lascaux diceva: "Il solo fatto di trovarsi in quelle caverne buie è di per sé un'esperienza magica. Non esiste più il mondo esterno di luce e movimento, ma soltanto un luogo oscuro le cui pareti sono popolate, qua e là, da animali. Si tratta per lo più di animali cacciati per la loro carne, buoi selvatici, grassi cavallini, bisonti e cervi. In quella buia solitudine, l'uomo moderno è costretto a soffermarsi un attimo sui tempi remoti in cui nessuno aveva ancora seminato il grano o coltivato un giardino. Ma quegli antichi cacciatori erano uomini come noi, dotati di un ingegno artistico e di un'abilità tecnica nello scheggiare la selce e nello scolpire l'avorio, che molti di noi potrebbero invidiare".

 

Mappa delle grotte di Lascaux.

Molte delle figurazioni rupestri paleolitiche sono state trovate in profonde caverne e mai nelle zone abitate in superficie, dove eseguivano i lavori con la luce di una torcia e si difendevano, da eventuali predatori, con pezzi di selce scheggiati o pirite di ferro.


Questo dimostra quanto doveva essere importante per loro, riprodurre queste figure di animali in quelle grotte oscure, lontano dal mondo esterno e familiare, che erano fuori dall'entrata della caverna.

Lo stregone di Les Trois Frères.

Molte immagini sono state dipinte ad un'altezza raggiungibile mediante un rialzo di terra oppure con un sostegno di legno ed alcuni dipinti sono stati eseguiti in tempi diversi, addirittura con intervalli di 10 o più anni, anche su creazioni già esistenti, come se avessero perso la loro importanza.


Inoltre, è stato scoperto che, le riproduzioni di animali pericolosi, quali il bisonte ed il rinoceronte, erano più frequenti di quelle di animali cacciati per la loro carne, come le renne, di cui sono state trovate ossa nelle zone abitate, forse per ridurne il potere.


Quando comparivano impronte di mani nelle pareti, se si trattava della mano sinistra erano delineati solo i contorni, altrimenti, se si trattava della destra l'impronta era colorata per intero.

 

Per dominare le loro prede con la magia, i cacciatori paleolitici, secondo molti studiosi, crearono ritratti di animali nel fondo di alcune grotte in Spagna ed in Francia, come queste delle Grotte di Lascaux.

Le figure di animali dipinte, potrebbero essere state dei Totem, magari disegnati durante qualche rito di iniziazzione di gruppi o tribù, che si identificavano con i poteri e le caratteristiche che le figure rappresentavano.


Potrebbero essere anche simboli magici, che avevano lo scopo di assicurare il successo ai cacciatori o di aumentare l'abbondanza delle prede.


Ipotesi riunite dal prof. François Bordes, interpretando una pittura rupestre di Lascaux, che rappresenta un rinoceronte, un bisonte alla carica con i fianchi trafitti da frecce e da lance ed un uomo con una maschera d'uccello che cade all'indietro davanti il bisonte, (vedi foto sotto): "Vi racconterò a modo mio la storia di questo dipinto, una storia di fantascienza. Una volta, un cacciatore appartenente al totem dell'uccello, fu ucciso da un bisonte. Uno dei suoi compagni, membro del totem del rinoceronte, scese nella caverna e riprodusse la scena della morte dell'amico e la propria vendetta. Il bisonte è trafitto da lance e frecce ed appare sventrato, probabilmente dal corno del rinoceronte".

Scena dipinta nella Grotta di Lascaux che rappresenta l'uccisione di un uomo da parte di un bisonte trafitto da frecce.

Da ciò si deduce che i dipinti, potrebbero essere stati eseguiti. durante cerimonie rituali e gli artisti stessi potrebbero essere stati considerati come persone particolari, dotate di poteri magici, i primi sciamani o sacerdoti.


Nella grotta di Trois-Frères c'è una figura composita uomo-animale, (vedi foto sotto), che potrebbe rappresentare questa figura di sciamano, con i suoi grandi occhi, le corna di cervo, le zampe d'orso e la coda di cavallo, fluttua in una stretta nicchia in cima ad una parete di 4 metri dal suolo.


Le popolazioni preistoriche, vivevano in un mondo che esse, ritenevano popolate da spiriti, detto "animismo", termine per designare questa concezione primitiva, e mediante simboli e rituali, cercavano di dominare il loro ambiente per affrontare meglio i molti pericoli dell'esistenza quotidiana.

 

MAGIA IMITATIVA E MAGIA CONTAGIOSA


Esempio di magia imitativa detta anche magia simpatica.

L'antropologo scozzese James Frazer, sosteneva che: "Il primo principio di magia, che il simile produce il simile, cioè che un effetto somiglia alla propria causa, e secondo, che le cose che una volta sono state in contatto l'una con l'altra, continuano ad interagire a distanza, dopo che il contatto fisico è venuto meno".

Frazer chiama il primo tipo "Magia Imitativa": la rappresentazione di una renna colpita da una lancia, può dar luogo alla sua uccisione effettiva.

Il secondo tipo, invece, "Magia Contagiosa": l'unghia di un leone delle caverne può portar con sé il potere e la ferocia dell'animale.

Questi due dogmi magici, si svilupparono quando si formarono le società agricole, lungo le coste orientali del Mediterraneo, e gli agricoltori erano più stabilmente insiediati rispetto ai cacciatori e quindi dipendevano maggiormente dagli avvicendamenti delle stagioni, dal flusso e riflusso dei fenomeni naturali.

In Egitto, Grecia e Roma, col passare dei secoli i riti si moltiplicarono a tal punto che, nel I° secolo d.C., Plinio il Vecchio deplorava che la magia, "Imprigionando i sentimenti dell'uomo in una triplice catena, (paura della malattia, degli dei e del futuro), avesse raggiunto un punto tale da dominare tutto il mondo ed in Oriente, da governare lo stesso Re dei Re".

Nel IV° millennio a.C. nella zona dell'attuale Iraq, l'importanza della magia crebbe con gli antichi Sumeri e con i popoli che li seguirono, cioè gli Assiri e Babilonesi.

I Sumeri, inventori della scrittura e costruttori di città, vedevano o credevano di vedere, fantasmi e demoni in ogni anfratto, in ogni angolo della strada ed in ogni luogo, riempiendo i cieli di dei di ogni sorta, da Anu, dio del cielo, a Inanna, regina del cielo e della terra.

Attraverso gli oracoli e l'interpretazione dei sogni, un monarca sumero di nome Gudea, ricevette istruzioni particolareggiate per la costruzione di un tempio dedicato al dio Ningirsu, che poi fece prosperare la sua città.

Eppure, queste figure celesti erano in un primo tempo divinità remote, che non interferivano nella vita quotidiana dei popoli della Mesopotamia, cosa che facevano, invece, i fantasmi ed i demoni.

Un rito, creato per allontanare le anime dei morti, richiedeva l'uso di una pozione fatta con aceto, acqua di fiume, acqua di pozzo ed acqua di fosso, mescolate e bevute reggendo una torcia e rivolgendo agli dei particolari suppliche.

 

ABRADA KE DABRA


Amuleto d'argento recante la formula magica amuleto Abrada Ke Dabra.

Gli incantesimi basati su una "Parola di Potere", ovvero trascritta o ripetuta ogni volta con una lettera in meno, sottratta alla parte terminale del vocabolo, finchè rimaneva una sola lettera.

Uno di questi scongiuri, fu trovato su un'antica tavoletta sumera, chiamata "Abrada Ke Dabra", che significava "Muori come la parola" o per altri "Invia la tua folgore finchè morte non sopraggiunga".

In epoca romana questa parola divenne "Abracadabra", così come la conosciamo oggi e, gradualmente, parole e rituali magici trascesero il loro primitivo scopo di autoprotezione per diventare malefici, facendo nascere la "Magia Nera", (leggi qui il mio articolo sulla magia nera).

Su un antico rullo per stampare l'argilla, si legge la seguente imprecazione contro le fattucchiere: "O fattucchiera, come gira questo rullo così possa girare la tua faccia e diventare verde".

Intorno al 2.000 a.C., le pratiche occulte di questo tipo furono messe fuori legge da Hammurabi.



CICLO EPICO DI GILGAMESH

 

Le 12 tavolette d'argilla che raccontano l'epopea di Gilgamesh.


Una delle più antiche pratiche divinatorie era l'interpretazione dei sogni, (leggi qui il mio articolo sulle diagnosi mediche basate sui sogni).

Ne troviamo traccia nel ciclo epico di Gilgamesh, saga di un dio per metà animale e per metà uomo, che risale per tradizione orale al 4.000 a.C..

In uno di questi, Gilgamesh sconfigge ed uccide una grande bestia, (vedi foto sotto), un mostro simile ad un drago, che potrebbe essere il precursore dei draghi delle leggende della Tavola Rotonda.

 

Con l'aiuto degli dei sumeri a lui favorevoli, Gilgamesh, eroe e semidio, sconfisse bestie feroci, mostri ed un re, governò una potente città e fece rivivere lo spirito di un amico morto.

In un altro racconto, egli si prepara allo scontro finale con il suo nemico Enkidu e prima della battaglia, Gilgamesh sogna l'avanzata del nemico e racconta il sogno a sua madre: ella profetizza che il combattimento sarebbe sfociato in un'amicizia, facendo in un certo senso, la prima interpretazione di un sogno.


Ed infatti così accadde e da quel momento, per migliaia di anni la gente portò amuleti di Gilgamesh, raffiguranti i due nemici in lotta, (vedi immagine sotto).


Gilgamesh combatte contro Enkidu.


EPATOSCOPIA OVVERO LETTURA DEL FEGATO


Epatoscopia assiro-babilonese.

Un'altra forma di divinazione era l'Epatoscopia, ossia la lettura del fegato, praticata dai Babilonesi, i quali credevano che il fegato fosse la sede dell'anima e facevano predizioni senza fine, basandosi sul numero di lobi e vasi sanguigni.

Un'altra tecnica consisteva nell'esaminare le viscere di altri animali, tra cui le pecore dal collo tozzo e dagli occhi rossi, che avevano intestini avvolti 14 volte, mentre quelle grandi con occhi storti non avevano affatto intestini.

Gli Assiri veneravano un gigante, chiamato Humbaba, (vedi foto sotto), la cui faccia era formata dalle viscere attorcigliate in modo tortuoso.

Quando negli intestini di una pecora, venivano intravisti i lineamenti di Humbaba, gli indovini ne traevano presagi di sventura.

Ai nostri giorni, tali teorie e tecniche possono sembrare assurde, eppure gli Assiri ed i Babilonesi praticavano già una forma di divinazione, alla quale milioni di persone si dedicano ancora oggi, ovvero l'Astrologia, l'arte di leggere il futuro nel movimento dei pianeti e delle stelle, nel principio di "Così in cielo, come in Terra".


NASCITA DELL'ASTROLOGIA BABILONESE


Astrologia Babilonese.

La loro era una società agricola di coltivatori e mietitori, basandosi sulle stelle per conoscere il tempo della semina, sviluppando l'adozione della circonferenza di 360°, basata sul concetto sumero di 360 giorni, in cui le stelle percorrono un solo grado ogni notte, (leggi il mio articolo per l'oroscopo personalizzato).

Il movimento degli astri, da parte dei Babilonesi, diede origine allo Zodiaco e le sue dodici case, nonchè allo sviluppo di una particolare casta di sacerdoti, che si dedicava allo studio delle stelle, gli astrologi, abili nelle loro predizione non meno di coloro che leggevano il futuro basandosi sulla forma del fegato o delle viscere.

Una di tali predizioni astrologiche, si esprimeva come segue: "Durante la notte Saturno si è avvicinato alla Luna. Saturno è una stella del Sole. Ecco la soluzione, è favorevole al Re, perchè il Sole è la stella del Re".

Un'altra, fatta da un antico astrologo, diceva: "Se la Luna apparirà il 15° giorno, Akkad prospererà e Subartu declinerà; se la Luna apparirà il 16° giorno, Akkad e Ammuru cadranno mentre Subartu prospererà; se la Luna apparirà il 17° giorno, Akkad e Ammuru prospereranno e Subartu declinerà".

Marco Tullio Cicerone.

Gli oroscopi personali si diffusero solo nel 200 a.C., per merito dei Greci macedoni che vivevano ad Alessandria, ma ci vollero secoli prima che, Cicerone e Plinio il Vecchio, sottolineassero alcuni difetti basilari nel ragionamento astronomico.

Plinio il Vecchio.

I due autori classici sostenevano, per esempio, che i gemelli nati sotto la stessa stella, avrebbero dovuto avere destini identici, mentre questo raramente avveniva.


AMULETI EGIZI E PRATICHE MAGICHE



Lo Scarabeo era il più importante e potente amuleto nella cultura egizia.


Mentre gli Assiro-Babilonesi ricorrevano spesso a riti e rituali per difendersi dai mostri e dalle anime vaganti, gli Egizi si servirono delle arti magiche per assicurarsi, in un paese ossessionato dalla morte, il passaggio verso un'aldilà felice nelle Terre del Tramonto.

Le pratiche magiche degli Egizi, si ispiravano ad una credenza che sopravvive ancora oggi: cioè che certe parole o gruppi di parole, disposte nel modo giusto e pronunciate con la giusta intonazione, possano acquisire una forza particolare.

Queste sono note come "Parole di Potere" e se pronunciate dai maghi egizi, fossero capaci di scatenare eventi straordinari.

Un antico manoscritto riporta una pratica magica del mago Teta: "Allora qualcuno gli portò un'oca e, dopo averle tagliato il capo, ne depose il corpo sul lato occidentale del colonnato ed il capo sul lato orientale. Teta si alzò allora in piedi e pronunciò alcune parole magiche, dopo di che il corpo iniziò a muoversi e così fece anche il capo ed ogni volta che si muovevano, si avvicinavano l'uno all'altro, finchè in conclusione, il capo ritornò al suo posto sul collo dell'uccello, che immediatamente iniziò a starnazzare".

Gli Egizi erano veramente convinti che questi fenomeni potessero verificarsi, in quanto non conoscevano i segreti dei trucchi, e credevano che la magia di queste formule incantatorie potesse trasferirsi ad oggetti come amuleti, che venivano usati allo stesso modo in cui gli uomini preistorici usavano le loro piccole sculture di animali e di simboli di fertilità.

In Egitto, uomini, donne e bambini portavano un amuleto al collo, molti erano raffinati gioielli altri recavano una semplice scritta e sciogliendo gli inchiostri di questi talismani, si ottenevano pozioni magiche dove erano stati scritti scongiuri e sortilegi.

L'Occhio di Horo o Horus ed il Nodo di Iside, erano entrambi amuleti famosi, ma il più famoso di tutti era lo Scarabeo, simbolo di vita dedicato a Ra, dio del Sole, e modellato sulle fattezze dell'umile scarabeo stercorario.

Simbolo egizio dell'occhio di Horo.

Nei riti funebri, lo scarabeo era usato per sostituire il cuore e di solito aveva una formula magica incisa sul dorso, spesso un'evocazione ad un dio per ottenere l'immortalità.

Amuleto egizio chiamato Nodo di Iside.

Tra gli involucri e le bende della mummia di Tutankhamon ne furono trovati 150 di questi amuleti.

In seguito, l'insetto fu associato al potere dello scarabeo sacro e le donne sterili facevano seccare e riducevano in polvere l'animale, nella speranza che una pozione fatta con tale ingrediente, le aiutasse a concepire.

La Croce Ansata, detta Ankh, era una croce con il braccio superiore ad anello, che appariva frequentemente al pari dello scarabeo, rappresentando la vita e l'immortalità.

La Croce Ansata o Ankh rappresenta la vita e l'immortalità.


STATUETTE USHABTI EGIZIE


Gli Egizi credevano che le formule magiche potessero trasformare certe statuette, dette Ushabti, in alacri servitori dell'aldilà.


Gli Egizi credevano che le figure umane potessero essere animate dagli incantesimi e quindi, durante i funerali, venivano desposte nelle tombe, statuine di terracotta, legno o pietra, chiamate "Ushabti", destinate a rappresentare ed a sostituire il defunto nell'aldilà, nel caso che questi fosse stato chiamato a lavorare per gli dei e nella tomba di Seti I, ne furono trovate circa 700 di queste statuine.

 

Busto di Seti I.

Introdussero anche una pratica magica che è stata molto ripresa in seguito e viene usata ancora oggi per scopi malefici: Le figure di Cera.


Un antico racconto narra che il faraone Nectanebo II , combatté vere e proprie battaglie con marinai e flotte di navi di cera, in un catino d'acqua.

 

Il faraone Nectanebo II.

Quando il faraone affondava i suoi nemici di cera, una vera nave del nemico affondava, finché gli dei, irritati da queste manipolazioni, intervennero e fecero vincere le figurine di cera, e Nectanebo II fuggì in Grecia ed aprì una bottega dove prestava le sue arti di medico e di mago.



TESTI DELLE PIRAMIDI E TESTI DEI SARCOFAGI



Testi delle piramidi sulle pareti della camera sepolcrale del faraone Teti.


La credenza degli Egizi nel potere delle parole magiche, raggiunse la sua massima espressione nei testi funerari, ed i più antichi sono chiamati "Testi delle Piramidi", scritti in geroglifici nel 2.500 a.C. e trovati all'interno di alcune piramidi di Saqqarah.


Formano un volume di invocazioni, inni, incantesimi e formule speciali create per aiutare il faraone defunto a raggiungere l'immortalità.


Invece i "Testi dei Sarcofagi", erano dipinti sui lati delle bare di legno e servivano a placare il bisogno di cibo e di bevande del defunto e procurargli una provvista di aria fresca.


Testi dei Sarcofagi.


LIBRO DEI MORTI E LETTERE AI MORTI


Libro dei Morti del popolo egizio.


Il testo più famoso, chiamato "Libro dei Morti", scritto su un papiro, comprendeva illustrazioni ed amuleti ad uso del defunto nell'aldilà, preghiere per proteggerlo dai demoni e parole speciali, per aumentare il potere degli amuleti destinati a tener lontano vermi, ladri di tombe e perfino la muffa.

Il defunto, avrebbe dovuto superare una serie di prove , per poi arrivare al cospetto di Osidire, davanti alla quale avrebbe potuto lavorare e vivere tranquillamente nell'aldilà, ed avrebbe utilizzato le statuette Ushabti, nel caso avesse voluto riposarsi.

Le "Lettere ai Morti" o anche "Proclamazione del Servizio di Mantenimento", erano particolari messaggi scritti su vasi, che contenevano le provviste di cibo per i defunti.

Tali iscrizioni supplicavano il morto ad aiutare i vivi, mentre altre esprimevano il timore che il morto potesse ritornare per vendicarsi.

Una di queste formule, risalente al 71 a.C., reca il messaggio di una domma morta prima del marito: "Non so più dove sono, ora che sono arrivata in questa Valle dei Morti. Se almeno potessi dissetarmi da un ruscello o volgere il viso al vento del Nord, in modo che il suo refrigerio plachi l'angoscia del mio cuore".


ORACOLO DI DELFI ED ORACOLO DI DODONA



L'Oracolo di Delfi, sul monte Parnaso, era il più famoso dell'antica Grecia. Per 1.000 anni vi si recarono coloro che volevano conoscere il proprio futuro.


Nell'Antica Grecia trovò la sua massima espressione, un concetto divinatorio per il quale, un uomo allo stato cosciente che non avrebbe potuto prevedere il futuro, lo avrebbe potuto fare in uno stato di coscienza alterato, prevedendo eventi che si sarebbero compiuti in seguito.

L'Oracolo di Delfi, dedicato ad Apollo e costruito sui versanti meridionali del monte Parnaso, sopra un crepaccio vulcanico ed avvolto dai vapori di zolfo, era il più famoso della Grecia antica.

La Pizia, massima sacerdotessa dell'oracolo, sedeva sopra un tripode in mezzo ai vapori sulfurei e, quando parlava, la sua bocca schiumava e ne uscivano discorsi oscuri, dal timbro vocale alterato e quando si risvegliava dallo stato di trance, non ricordava nulla delle sue profetiche parole, dando prova dell'intervento divino.

 

Pizia la sacerdotessa dell'Oracolo di Delfi.

I suoi messaggi erano così confusi ed ambigui, da richiedere l'intervento di speciali sacerdoti per interpretarli in versi, a volte anche secondo i propri interessi ed interrogare l'Oracolo di Delfi era molto costoso e non accessibile a tutti.

Invece, l'Oracolo di Dodona, nella regione dell'Epiro, dedicato a Zeus, era accessibile alla gente comune, che li si recava per porre quesiti da scrivere su lamine di piombo, dalle quali ricevere in risposta un si od un no.

Le lamine erano poste all'interno di un'urna ed una sacerdotessa le prendeva una per una, indicando allo stesso tempo se la risposta del dio era positiva o negativa.

Oracolo di Dodona.

Alcune di queste domande sono arrivate ai giorni nostri, come: "Lisania chiede a Zeus se il figlio che Annila porta in grembo è suo oppure no", un altro domandava: "Leonzio chiede se suo figlio Leone guarirà dalla malattia che gli attanaglia il petto".

PITAGORA


Pitagora, grande iniziato dell'antichità, prende appunti mentre un allievo regge una lavagna sulla quale è rappresentata la Tetractys, la piramide dei primi dieci numeri sacrim in questo dipinto di Raffaello.

Una delle figure più straordinarie dell'antica Grecia, fù senza dubbio Pitagora, (leggi qui il mio articolo su Apollonio di Tiana).

Nato nell'isola di Samo, nel VI secolo a.C., si recò in Egitto ed in Oriente, per poi stabilirsi in Italia, a Crotone, nel 530 a.C., dove fondò una società segreta allo scopo di diffondere le proprie teorie filosofiche.

Secondo la leggenda era dotato di poteri straordinari, in quanto riusciva a rendersi invisibile, a camminare sulle acque ed aveva la facoltà di far apparire o scomparire oggetti.

Credeva nelle arti empiriche e faceva uso di canti e di rituali, ed affermava di ricordare alcune sue incarnazioni precedenti, avvicinandosi ai concetti orientali della reincarnazione.

Fu però con i numeri che Pitagora cercò di spiegare l'apparente caos dell'esistenza umana, proponendo un ordine più esauriente ancora di quello già contemplato dai primi astrologi.

Nella Metafisica, Aristotele, (leggi qui i miei articoli in proposito Atlantide  ed Alchimia), pur opponendosi ai pitagorici, cercò di spiegarne la filosofia.

Lo stesso riferisce: "Essi ritenevano che tutte le cose sono numeri, potendosi interpretare, per esempio, la tale manifestazione numerica come giustizia, la talaltra come anima e ragione, un'altra ancora come congiuntura favorevole, e così via quasi tutte le altre cose di possono esprimere numericamente".

Secondo un antico racconto, l'interesse di Pitagora per i numeri, nacque quando scoprì che, le quattro note principali della scala musicale greca, erano in correlazione tra di loro.

Egli, passando davanti la bottega di un fabbro, mentre quattro apprendisti battevano quattro incudini di misure diverse, comparò i pesi delle rispettive incudini e scoprì che erano nella proporzione di 6, 8, 9 e 12.

Ne dedusse che esistevano, tra tutte le cose del creato, analoghe interrelazioni numeriche, quindi, secondo Aristotele, i pitagorici presupponevano che, gli elementi dei numeri, fossero elementi di tutte le cose e che l'intero cielo fosse una scala musicale ed un numero.

Questa teoria si fondava sulla credenza che tutte le cose corrispondano ad un numero e che il numero di una cosa, come il suo nome, abbia un particolare significato magico.

Ad esempio, il numero base del nome di una persona, può essere determinato e poi usato per descriverne il carattere e prevedere eventi futuri.

Per ottenere tale numero, si assegna, con vari sistemi, un numero ad ogni lettera dell'alfabeto e poi si fa la somma di questi numeri.

Se il risultato dà una cifra di due numeri, (ad esempio 16), i due numeri vengono sommati ed il risultato, (7), rappresenta il numero base, ovvero persone introverse e capaci di mantenere un forte autocontrollo.


FANTASMI DELL'ANTICA ROMA


Atenodoro Cananita che raccontò del fantasma nella sua dimora.


A Roma, gli spettri erano oggetto di costante preoccupazione, come nella famosa vicenda, raccontata da Plinio il Giovane, alla fine del I secolo d.C.., (leggi il mio articolo sui fantasmi famosi dell'Antica Roma).

La storia narra che un filosofo di nome Atenodoro, aveva preso in affitto una casa, ad un prezzo molto basso, ma ogni notte era disturbato da rumori di catene.

Ben presto gli apparve il fantasma di un vecchio emaciato e sudicio, con barba e capelli lunghi e fluenti, che trascinava catene attaccate ai polsi e caviglie.

Plinio il Giovane.

Lo spettro condusse Atenodoro in cortile e poi svanì ed il mattino seguente alcuni funzionari scavarono, nel punto in cui era comparso l'uomo, e scoprirono uno scheletro con le mani ed i piedi incatenati.

Gli diedero la giusta sepoltura e non si fece più vedere.

Durante l'Impero romano i morti dovettero essere continuamente placati, come racconta Ovidio, quando si ometteva di celebrare una ricorrenza in onore dei defunti: "Gli abitanti della città sentirono i loro antenati lamentarsi, nelle quiete ore della notte, e si raccontavano l'un l'altro come l'incorporea corte di spettri mostruosi, usciti dalle loro tombe, gridasse lungo le vie della città e su e giù per i campi".

Si credeva che entità immateriali e fantasmi, fossero dappertutto, tanto che ogni azione quotidiana aveva un corrispondente spirito ed un nome: Ednea per il mangiare, Potina per il bere, Pecunia per il denaro, Cloacina per le fogne e Mefite per i cattivi odori.


Presagio e segni erano all'ordine del giorno, dall'aspetto del Sole ai fulmini in cielo, dalla divinazione degli organi animali al suono delle voci ultraterrene.


ASTROLOGIA E STREGONERIA NELL'ANTICA ROMA



Cerimonia iniziatica dionistica: ad un neofita viene mostrata, riflessa in un recipiente, una maschera terrifica, simbolo delle passioni che dovrà abbandonare, in questo affresco della Villa dei Misteri a Pompei.


Anche l'astrologia occupava un posto d'onore a Roma, infatti gli astrologi venivano addirittura nelle case dei ricchi e dei potenti.

Ritenevano che il cielo fosse costituito da tante sfere di cristallo, ognuna delle quali girava intorno alla Terra e recava, sulla sua superficie, il Sole o la Luna od uno dei pianeti, ed al di là di essi vi era una grande sfera che comprendeva tutte le altre stelle fisse.

Un'altra credenza molto radicata, era quella nelle streghe e nei loro riti, (leggi qui il mio articolo sulla stregoneria e quello sulla Strega dei Bell).

Orazio ci descrive le macchinazioni di due streghe, che andavano di nascosto a raccogliere erbe sotto la luna nuova, poi servivano un banchetto di agnello nero e modellavano statuette di cera delle loro vittime.

Non sorprende che Plinio il Vecchio, parlando della magia, dicesse: "Il suo ascendente è stato molto grande, perchè era la sola arte che riunisse in sé anche le tre discipline di maggior richiamo sulla mente umana", riferendosi alla medicina, alla religione ed alle arti divinatorie.

Il filosofo greco, Giamblico, vissuto in Egitto nel IV secolo d.C., ci descrive le cerimonie di iniziazione dei nuovi membri della "Setta dei Magi", la famosa società segreta di maghi persiano che diedero il nome alla magia stessa.

Il filodofo greco Giamblico.

Secondo il racconto di Giamblico, il nuovo aspirante era condotto attraverso un portone massiccio, che si trovava tra le zampe anteriori della Sfinge e veniva sottoposto ad una serie di prove di coraggio.

Doveva affrontare un mostruoso spettro meccanico, strisciare attraverso una galleria che si restringeva via via, guardare uno stagno che sembrava senza fondo, restare appeso ad un anello di ottone, rischiare la morte per avvelenamento e resistere alle lusinghe di giovani danzatrici.

Finalmente, una volta superate le prove, l'iniziato era istruito nei doveri di uno Zealot, rango che si era così meritato, ed a quel punto gli veniva data una dimostrazione di quanto poteva succedere, a chi avesse rotto il giuramento di segretezza dei magi.

"Ai piedi dell'altare si scoperchiava una botola di ottone, che si apriva sopra ad un pozzo, da cui giungeva un rumore di catene e di lotta, seguito dai ruggiti di una fiera e dall'urlo di una voce umana, in preda ad una spaventosa agonia, poi più niente, soltanto un freddo silenzio sepolcrale".





MOSTRI

MOSTRI

Mostro dell'Inferno in una miniatura del XV secolo.

DALLE LEGGENDE E STORIE DEI MOSTRI DEL PASSATO AI MOSTRI DEL CINEMA MODERNO 


Figura antropomorfa con ali, artigli e corna, da un disegno russo del 500 a.C..


INDICE DEL POST

  Mostri Marini

Mostri dalla Preistoria ad oggi

Licantropi

Vampiri

Vampiro di Hannover

Vampiro di Londra

Frankenstein

Vlad l'impalatore

Elisabetta Bathory

Giganti

Fate di Cottingley

Mostri creati dall'uomo

Mostri del Cinema

Yeti Uomo delle Nevi



MOSTRI MARINI - IL RACCONTO DEL CAPITANO JOHN RIDGWAY


Nel 1966, il Capitano John Ridgway, si era appisolato ai remi della sua imbarcazione, mentre stava navigando in piena notte nell'Atlantico settentrionale, quando: "Fui richiamato alla piena coscienza da un rumore sibilante a prua, guardai in acqua ed improvvisamente vidi contorcersi la sagoma sinuosa di una grande creatura. I suoi contorni erano sottolineati da una specie di fosforescenza nel mare, come se una serie di luci al neon fosse appesa ai suoi fianchi. Era lunghissima, 10 metri se non di più e si dirigeva verso di me a tutta velocità. Devo averla osservata per circa dieci secondi e veniva dritto verso di me e scomparve proprio sotto la mia imbarcazione".


Il testimone non era un sognatore, tutt'altro, stava tentando l'epica impresa di attraversare l'oceano a bordo di una barca a remi, con il compagno d'avventura Chay Blyth, che al momento dell'avvistamento, si era addormentato.


John Ridgway e Chay Blyth.

Il suo racconto continua: "Non sono una persona molto fantasiosa quindi cercai una spiegazione razionale. Chay ed io avevamo avvistato balene e squali, delfini e focene, pesci volanti ed ogni sorta di cretaure marine, ma questo mostro nella notte, non apparteneva ad alcuna di quelle specie. Dovetti ammettere, controvoglia, che poteva essere una cosa sola, un serpente di mare".


La riluttanza del capitano è più che comprensibile, poichè negli ultimi 2 secoli, gli avvistamenti di "mostri marini" sono sempre stati accolti con incredulità.


Quando, nei primi dell'800, alcuni pescatori scandinavi riferirono di aver visto un calamaro gigante, si ritenne che lo avessero inventato di sana pianta, sotto effetto di bevande alcoliche, visto che i profani del tempo sapevano che non esistevano calamari oltre i 20-25 centimetri di lunghezza.


E quando il comandante e tutto l'equipaggio della corvetta francese "Alécton", in viaggio da Cadice e Tenerife nel 1861, riferirono di aver tentato di catturare un calamaro gigante, con tentacoli lunghi più di 2 metri, l'Accademia Francese delle Scienze concluse che, i testimoni, erano stati evidentemente vittime di un'allucinazione di massa.


Ma il capitano John Ridgway, vide il suo mostro marino ed era perfettamente lucido e sveglio, quando lo scorse tra le acque.


Sia lui che Blyth erano paracadutisti dell'esercito britannico in licenza e stavano attraversando l'Oceano, nell'intento di eseguire un esperimento di sopravvivenza.


Al loro ritorno, raccontarono la storia di quei terribili 92 giorni di mare: "Posso soltanto dire quello che ho visto con i miei occhi ed ora non sono più scettico", riferì Ridgway.



RACCONTI DI MOSTRI DALLA PREISTORIA AI GIORNI NOSTRI

 

Drago sconfitto da San Giorgio.

Dai draghi ricoperti di scaglie che sputavano fuoco e dalle idre multicefale dei tempi antichi, alle misteriose creature subacquee ed agli uomi scimmia dei nostri giorni, i mostri, immaginari o reali, hanno regolarmente popolato le leggende del passato.


La bestia soprannaturale ha da sempre mostrato una costante dualità: affascina ed è allo stesso tempo repellente, ispira una certa esaltazione ma, indubbiamente, incute anche paura e funge da simbolo per forze naturali che, altrimenti, sarebbero inspiegabili, oltre che da bersaglio per lo spirito eroico degli uomini.


Una leggenda babilonese, racconta come Marduk trucidò gli eserciti dei draghi di Tiamad, la dea del male, per creare l'Universo del quale si mise a capo.


In una saga scandinava, Sigurd sconfigge il drago Fafnir per raggiungere il nascondiglio segreto dell'oro e di un anello maledetto.


Anche la cristianità ha avuto i suoi draghi, come ad esempio San Giorgio uccise un drago, per liberare una popolazione pagana terrorizzata e convertirli al cristianesimo, il quale fu fatto precipitare all'Inferno.


Nel suo libro Il Mondo Incantanto, lo psicologo infantile Bruno Bettelheim, esplora l'importanza psicosociale delle fiabe ed asserisce che gli uomini creano mostri per dare una forma alle loro paure, e cita testualmente: "Le ansietà senza nome sono molto più minacciose di qualsiasi cosa alla quale possiamo dare un nome ed una forma, qualsiasi cosa sappiamo, o crediamo di sapere, è più confortante dell'ignoto".


Il biologo inglese, John Napier, fanatico di mostri sosteneva: "Scimmie mostruose come il fantastico King-Kong, sono dei comodi ricettacoli per tutto ciò che vi è di selvaggio, ignobile e libidinoso in un uomo".


L'uomo primitivo, temendo l'ignoto, immaginava un mondo sotterraneo malvagio e buio, nel quale il Sole scompariva ogni notte e, dai libirinti di quella voragine, usciva un drago dall'alito infuocato, prototipo dei mostri immaginati dall'uomo: una creatura gigantesca, infernale, con le sembianze di rettile, simile ad un incrocio tra un serpente ed una lucertola e con in più una forma larvata di malvagia intelligenza, che paralizzava le vittime.


Secondo i diversi luoghi e le diverse epoche, i draghi diventavano più grandi, acquisivano ali, si facevano spuntare altre teste, esalavano vapori tossici, occupavano una posizione intermedia tra le creature acquatiche e terrestri, diventavano ora buoni ora cattivi.


Comparvero in Egitto ed in Mesopotamia circa 3.000 anni a.C. ed in India soltanto un pò più tardi.


La mitologia classica dell'antica Grecia e di Roma, è fitta di episodi di lotta di mitici eroi contro beste immonde, composte  da creature mostruose, bestie feroci e malefici esseri umani.


In pieno Medioevo, gli Europei consideravano i draghi come la personificazione del male e li ritenevano portatori delle temibili epidemie, come la Peste, che infierivano sulla Terra, ispirate dalla collera divina.


Le leggende poco plausibili, nate dall'ignoranza e dalla superstizione, sono facili da sfatare, più difficile rifiutare l'opera di Edward Topsell, pubblicata nel 1608 con il titolo Historie of Serpents, nella quale l'autore descrive come un drago riesca ad avvolgersi intorno ad un animale di mole considerevole e stringerlo nelle sue spire fino a stritolarlo.


Spiega Topsell: "Vengono e si celano dietro agli alberi, nascondendo la testa e lasciando l'altra parte pendere come una corda. In questa posizione stanno all'erta, finchè arriva l'elefante per nutrirsi ai rami dell'albero, poi improvvisamente gli balzano in testa e gli strappano gli occhi. Quindi si aggrappano al suo collo e, con la coda o gli arti posteriori, frustano e feriscono l'animale finché non gli fanno perdere il fiato, per poterlo strangolare con gli arti anteriori, mentre continuano a frustarlo con quelli posteriori".


Questa descrizione di un grande pitone, di circa 10 metri di lunghezza, nella realtà non sarebbe possibile, in quanto non attaccherebbe mai un grande elefante, a meno che non si tratti di un picccolo esemplare rimasto lontano dal branco.


Pochi, in Europa, avevano avuto il privilegio di vedere dei pitoni, ma già in tempi antichi si raccontavano storie di animali straordinari, nei quali oggi potremmo riconoscere elefanti, giraffe, tigri del Bengala, ippopotami e coccodrilli.


Nel V e nel IV secolo a.C., i viaggiatori al loro ritorno, intrattenevano i loro ascoltatori, con descrizioni di stranezze umane, raccontando di aver visto gente con testa di cane od addirittura senza, esseri con un unico grosso piede o piedi caprini, tribù con orecchie enormemente allungate con labbra pendule, o gente con un occhio solo o lunghe code pelose. (vedi foto sotto).


 

Le figure grottesche, di cui parlavano i viaggiatori greci, apparvero nel Liber Chronicarum nel 1493.


Può darsi che simili racconti nascessero dall'osservazione erronea di esseri malformati, da cerimonie in cui si indossavano maschere cerimoniali o che intravedevano gorilla e scimmie che camminavano eretti.


Nel suo libro Bestie e Demoni Favolosi, lo studioso Heinz Mode, disse: "L'aspetto del mostro si fonda sempre sull'osservazione della natura e, dall'altra parte, ciò che lo caratterizza è l'esagerazione e la mescolanza di forme, la combinazione delle qualità, delle capacità e dei poteri di vari esseri naturali in una figura composta, processo che può soltanto avvenire nell'immaginazione umana".


Aristotele, nella sua Storia degli Animali del IV secolo a.C., raccontava che in Libia i serpenti erano molto grandi, basandosi sui resoconti di alcuni marinai, che avevano navigato lungo quelle coste e dicevano di aver visto le ossa di molti buoi, che sembravano essere stati divorati dai serpenti.


Secondo questi marinai, mentre le navi procedevano i serpenti li attaccarono, tanto da capovolgere una Trireme e tali creature marine furono ulteriormente elaborate durante il Medioevo ed arricchite dalla fantasia popolare.


Olaus Magnus, arcivescovo di Uppsala, nel suo libro del 1555, intitolato Storia dei costumi de' Popoli Settentrionali, parla di un serpente scandinavo, che misurava circa 60 metri con uno spessore di 6 metri, che veniva avvistato dai marinai e naviganti, nelle acque costiere della Norvegia.


Nel suo libro scrisse: "Ha una criniera che scende dal suo collo di peli lunghi un cubito, (circa 46 centimetri), e scaglie aguzze ed è nero, con i suoi occhi fiammeggianti".

 

Opera del XVI secolo di Olaus Magnus, in cui è raffigurato un mostro marino che avvolge con le sue spire una nave.


Anche un missionario norvese, Hans Egede, due secoli più tardi avvistò, mentre si trovava in viaggio verso la Groenlandia, con il suo vascello che si stava avvicinando alla colonia danese di Buona Speranza nello stretto di Davis, qualcosa di inquietante: "Anno 1734, Luglio. Il giorno 6 apparve un animale marino veramente terribile, che si rizzò in alto sopra l'acqua, che la sua testa superò l'altezza della coffa. Aveva un lungo muso appuntito, soffiava come una balena, aveva grandi pinne larghe ed il corpo era ricoperto di pelle ruvida. Inoltre, la parte inferiore era simile ad un serpente e quando si tuffò di nuovo in mare, alzò la coda sopra l'acqua ad una distanza dal corpo pari all'intera lunghezza della nostra nave".


Di tutti i serpenti di mare della leggenda, il pià famoso e straordinario era di gran lunga il Kraken.


Attacco di una nave da parte di una piovra gigante, detta Kraken. nel disegno del naturalista francese Denis de Montfort.


Il vescovo di Bergen, Erik Pontoppidan, nella sua opera Natural History of Norway, pubblicata nel 1755, scrisse: "Tra le molte grandi cose che stanno nell'Oceano vi è il Kraken. Questa creatura è la più grande e la più sorprendente di tutti gli animali della creazione".


Quando il Kraken veniva a galla, secondo la tradizione popolare, copriva una distanza di oltre 2 km ed i marinai, scambiando la sua vasta sagoma per un'isola, vi approdavano ed accendevano fuochi da campo per prepararsi a trascorrere la notte e, talvolta, il Kraken reagiva e si immergeva nel mare lasciando i marinai allibiti a dibattersi nell'acqua.


Verso la fine dell'anno 1861, il tenente Bouyer, comandante della corvetta Alecton, era in viaggio da Cadice a Tenerife e nel suo resoconto di viaggio, scrisse: "Il 30 novembre, a cento miglia a nordest di Tenerife, alle 2 del pomeriggio, incontrammo un animale mostrouso che riconobbi come la piovra gigante, la cui esistenza è stata tanta controversa e che ora sembra relegata nel regno del mito".


Gli uomini dell'Alecton arpinarono l'essere tentacolato e passarono un cappio intorno a ciò che sembrava una coda ma, con un violento strattone, la creatura strappò l'arpione liberandosi e, quando l'equipaggio issò la corda, gli uomini trovarono soltanto un frammento, di circa 20 kg, dello spaventoso mostro che avevano tentato di catturare.


Bouyer riferì: "Vedemmo la creatura abbastanza da vicino per poterne dare una descrizione esatta. Era in realtà un calamaro gigante, ma la forma della coda indicava la sua appertenenza ad una specie non ancora descritta. Il corpo sembrava misurare dai 4,5 ai 5,5 metri di lunghezza e la testa aveva un becco simile a quello di un pappagallo, circondato da 8 tentacoli lunghi circa 1 metro e mezzo. L'aspetto era alquanto terrificante, era rosso mattone, informe e viscido, repellente e terribile".


Purtroppo il frammento di carne imputridì prima che i marinai dell'Alecton giungessero in porto e, quindi, non fu mai studiato, concludendo che il capitano ed i suoi uomini erano state vittime involontarie di un'allucinazione collettiva.


Il 20 novembre del 1875, l'Illustrated London News, riportò il racconto di una lotta mortale avvenuta tra un serpente di mare ed una balena, al largo della costa brasiliana.


Il giornale scrisse: "Il capitano Drevar, comandante del brigantino Poline, che trasportava un carico di carbone dai magazzini navali di sua maestà a Zanzibar, notò 3 grandi capodogli, uno dei quali era avvolto da due strette spire, di ciò che sembrava un grande serpente. Questi aveva il dorso marrone scuro ed il ventre bianco, con una testa immensa dalla bocca spalancata. Oltre alla parte arrotolata, dalla testa alla coda misurava circa 10 metri, mentre la circonferenza era di circa 3 metri. Facendo leva con le estremità, il serpente continuò ad avvolgersi sempre più strettamente attorno alla sua vittima per circa 15 minuti e, poi di colpo, trascinò la balena sott'acqua a testa in giù".


Arazzo del XIV secolo raffigurante un'idra a sette teste.


Vent'anni dopo questo episodio, vennero alla luce prove innegabili che, almeno un tipo di mostro marino incredibile, il Calamaro Gigante, esisteva effettivamente nelle profondità del mare.


Intorno al 1870, il mare riversò sulle coste settentrionali dell'Atlantico, un gran numero di carcasse di grandi animali tentacolati ed almeno uno di quei mostri fu trovato vivo.


Il 2 novembre del 1878, tre pescatori di Thimble Tickle a Terranova, videro un enorme animale marino che stava lottando contro la maera.


Arpionarono la creatura con una fiocina e quando le ondel la sospinsero sulla spiaggia, la legarono ad un albero.


Il corpo dell'animale misurava 7 metri ed i suoi tentacoli erano di circa 10 metri ciascuno e fu subito rinominato come il Calamaro di Thimble Tickle.


Immagine moderna di un Calamaro di Thimble Tickle.


Le sue ventose erano larghe 10 centimetri, ricordando la versione in piccolo del famoso Kraken e molti balenieri parlarono spesso di capodogli, il cui corpo recava cicatrici di ventose di oltre 50 centimetri di diametro, facendo pensare ad esseri giganti di circa 80 metri.


Lo zoologo belga, Bernard Heuvelmans, raccolse 587 racconti di avvistamenti di mostri marini, tra il 1639 ed il 1966.


Dopo aver eliminato i probabili errori, falsi deliberati e racconti troppo vaghi, rimasero 358 casi attendibili.


Su schede perforate annotò i minimi particolari di questi avvistamenti con un'analisi computerizzata, che gli permise di elencare 9 diversi tipi di creature subacquee non ancora classificate, tra cui calamari di 18 metri e balene di oltre 30 metri.


Oggi, gli scienziati, hanno scoperto specie animali che corrispondono alle descrizione fatte sui mostri marini, in quanto molte di esse si ritenevano estinte e sono state ritrovate a parecchi metri di profondità, dove in passato era quasi impossibile immergersi.


Tra questi la Latimeria, ultimo rappresentante del famoso Celacanto, che si pensava fosse estinto da 65 milioni, finchè non venne trovato un esemplare in Sudafrica nel 1938.


Il Carcharhinus leiodon, un altro pesce della famiglia degli squali, che si riteneva estinto ma, recentemente ne è stato avvistato un esemplare in vendita in Kuwait, su un banco di pesce dove era stato fatto a tranci.


Un agente del del Western Australia Parks and Wildlife, ha notato due esemplari nuotare al largo della costa occidentale dell’Australia, nella zona della barriera corallina di Ningaloo, ed ha scattato la foto sotto, dove si vedono 2 esemplari di Aipysurus Apraefrontalis, una specie di serpente marino che si pensava fosse estinto.


Due esemplari di Aipysurus apraefrontalis, serpenti marini che si riteneva fossero estinti, fotografati in Australia da un agente del Western Australia Parks and Wildlife.


Gorilla, panda giganti, ippopotami pigmei, orche marine, okapi, platypo o draghi di Komodo, facevano sorridere gli scettici  finchè non si scoprì che esistevano realmente.


Francis Hitching, conclude: "Più si fanno ricerche in questo campo, più sicuri si diventa che sempre interverrà  qualcos'altro in aggiunta al modello dell'Universo che ci è diventato familiare".


Questo "qualcos'altro" è il vero mistero ed il vero mostro, manifestazioni fisiche delle paure dell'inconscio ed il nostro bisogno di dover dare loro delle forme.



LICANTROPIA - UN MOSTRO CHIAMATO LUPO MANNARO




Uomo affetto da ipertricosi, una malattia che provoca la crescita dei peli in tutto il corpo, che veniva confusa con la licantropia.



La maggior parte dei casi di Licantropia si registrò, in Europa, a cavallo tra il XVI ed XVII secolo, (leggi qui il mio articolo sulla licantropia).


Per questi nostri antenati, che vivevano sparsi in villaggi in mezzo a foreste folte ed in situazioni di isolamento, il lupo rappresentava una fonte di terrore sempre presente, un animale forte ed astuto ma anche feroce ed assetato di sangue.


Tra il 1520 ed il 1630, solo in Francia vennero registrati 30.000 casi di licantropia, ma il più famoso resta quello del pastore Pierre Bourgot di Poligny, che fu processato nel 1521.


Confessò che 19 anni prima, durante un temporale stava cercando alcune pecore del suo gregge quando, era stato avvicinato da 3 cavalieri neri che gli chiesero cosa lo stesse angustiando.


Bourgot spiegò loro la perdita delle pecore ed uno dei cavalieri gli rispose: "Abbi coraggio, se avrai fede il mio Signore proteggerà le pecore smarrite".


Bourgot ritrovò il suo gregge, qualche giorno dopo, ed i 3 cavalieri neri ricomparvero e chiesero al pastore di diventare servo del Diavolo, in cambio di protezione di ricchezza, e Bourgot a tal proposito disse alla corte: "Caddi in ginocchio e giurai fede a Satana".


Incisione del XVIII secolo raffigurante un feroce attacco di un lupo mannaro ad una donna con al collo una croce, che non vale a salvarla dal suo destino.


Il pastore, assumendo le sembianze di un lupo ed accompagnato molte volte da un altro lupo mannaro di nome Michel Verdung, perpretò innumerevoli assassinii su giovani donne, tra cui una a cui ruppe il collo con i denti lacerandole la gola.


Attacco del lupo mannaro Michel Verdung ad un viandante.


Un viaggiatore attaccò e lo ferì il lupo che si ritirò nella foresta, lasciando una scia di sangue che permise al viandante di seguirlo fino ad una capanna, dove trovò Verdung, ridiventato uomo, che si faceva medicare dalla moglie.


La corte, che esaminò il caso, apprese che Pierre Bourgot si trasformava in lupo togliendosi i vestiti e strofinandosi con un unguento speciale donatogli dal Diavolo, mentre Verdung aveva il potere di trasformarsi in lupo a suo piacimento.


I due uomini furono condannati a morte insieme ad un altro lupo mannaro, meno celebre.


Un simile episodio avvenne in Francia nel 1573, quando in un villaggio vicino Dole, una creatura mostruosa aveva ucciso e divorato molti bambini.


Alcuni testimoni dell'epoca sorpresero un enorme lupo che dilaniava un bambino e furono colpiti dalla somiglianza della bestia con un certo Gilles Garnier.


Questi, arrestato e processato, confessò che la fame e la povertà, lo avevano spinto a fare un patto con uno spirito maligno, incontrato per caso su un sentiero della foresta.


Lo spirito gli aveva dato un unguento, da spalmare sul corpo, capace di trasformarlo in un lupo per potersi cibare e lo stesso, fu condannato al rogo ed arso vivo.


Nel 1589 a Bedburg, in Germania, Peter Stubbe o Peter Stump, descritto all'epoca come uno stregone assai malvagio, nelle sembianze di un lupo commise, per 25 anni, molti delitti divorando uomini, donne e bambini e nel 1589, fu condannato a morte e 4.000 persone si radunarono per assistervi. 


Incisione dell'epoca sul serial killer Peter Stubbe.


Nel corso di una battuta di caccia con una muta di cani, organizzata dalla cittadinanza, era stato scovato Stubb, che annaspando a quattro zampe, cercò di mordere e ringhiare come una bestia feroce con forza disumana, finchè non fu sopraffatto dagli abitanti.


In seguito, durante il processo svoltosi a Colonia, raccontò di aver fatto un patto con il Diavolo, il quale gli regalò una pelle di lupo, con la promessa di proteggerlo mentre si cibava di uomini, donne e bambini.


Nel 1603 a Bordeaux, in Francia, Jean Grenier, un giovane senza fissa dimora, fu processato come lupo mannaro.


Nella sua confessione ammise di aver incontrato, per caso, un cavaliere alto e tenebroso, da lui chiamato Signore della Foresta, il quale gli giurò di servirlo dandogli la possibilità di cambiare aspetto, grazie ad un unguento magico ed una pelle di lupo.


Per anni Grenier si cibò di carne di giovani fanciulle e fu condannato ad essere rinchiuso in un monastero, dove continuò a camminare carponi con la convinzione che fosse davvero un lupo.


In tempi più recenti, ovvero in una calda notte del 1949 a Roma, la polizia venne chiamata per indagare su un lupo mannaro visto in un giardino.


La pattuglia scoprì un giovane ricoperto di fango, che ululava e graffiava il terreno, con lunghissime unghie appuntite ed affilate.


Ricoverato in ospedale, l'uomo disse di aver perso i sensi, nel momento in cui si era alzata la luna piena e di essersi ritrovato, al suo risveglio, in strada spinto da una forza sconosciuta.


John Godwin, su queste storie di licantropia, disse: "Gli individui attratti e tormentati da desideri impellenti, che riconoscevano come bestiali, potevano desiderare di sfuggire alla forma umana che impediva la loro soddisfazione. Diventando bestie, potevano infrangere i divieti e le paure e, gratificare senza provare alcun senso di colpa o di paura, tutte le brame distorte che ardevano nelle loro menti, perchè i tabù umani non si applicano agli animali".


Le leggende dicono che, il lupo mannaro, era veloce anche se trascinava le zampe nel correre e, l'unico modo per ucciderlo, era utilizzando dell'argento su punte di freccia o pallottole.



VAMPIRISMO - MOSTRI CHIAMATI VAMPIRI



Gli eleganti vampiri della letteratura vittoriana dedicavano le loro attenzione principalmente a giovani donne.

Talvolta, l'essere umano non ha bisogno di trasformarsi in animale per ignorare i tabù, proprio come il Vampiro, evocato dal regno dei morti ed assetato di sangue, con un ascendente erotico sulle vittime, (leggi qui il mio articolo sui vampiri).


Alcuni lo ritengono uno spirito del male che anima il corpo di un morto, altri che sia un cadavere animato dalla propria anima.


John Heinrich Zopft, scrisse nel 1733: "I vampiri escono dalle loro tombe durante la notte ed aggrediscono persone che dormono tranquillamente nei loro letti, succhiano tutto il sangue dal loro corpo e le distruggono".


In genere, il vampiro catturato o dissotterrato, presenta una carnagione rosea, ben nutrita e sembra un essere vivente.


Il suo stato è tradito dalle unghie lunghe e ricurve, cresciute nella tomba, e dal sangue che si è coagulato intorno alla bocca e, secondo le leggende, l'unico modo per distruggerlo è conficcargli un palo nel cuore, per poi bruciare i resti insanguinati del corpo fino a ridurli in cenere.


Le leggende di vampiri e lupi mannari, traggono origine da fatti reali e dalla credenza che i morti potessero tornare in vita.


Alcuni eventi terribili e misteriosi, come stragi o epidemie improvvise ed inspiegabili, erano associati ad un risveglio di vampiri, ed era facile che alcune persone dalla carnagione rosea, che uscivano raramente di giorno, fossero accusate ingiustamente.


Alla fine del Medioevo, i matrimoni consanguinei tra i nobili slavi, portarono alcune malattie genetiche come la Protoporphyria Erythropoietic, un disturbo della pigmentazione dovuta ad un eccesso di protoporfirina, sostanza alla base dei globuli rossi.


La malattia era accompagnata da prurito, arrossamento, edema e ragadi sanguinolenti esposte al Sole e le persone affette, evitavano le passeggiate diurne preferendo quelle notturne. 


Anche se vecchie ed avvizzite nella tomba, quando erano in cerca di sangue, le donne vampiro potevano apparire come bellissime giovani.

Tenuto conto che, questo morbo fu scoperto dopo il XIX secolo, le persone affette erano considerate vampiri assieme ad un'altra condizione, ovvero il seppellimento prematuro.


Capitava, infatti, che persone in coma, catalessi o ubriache fracide venissero sepolte vive per poi svegliarsi e dare luogo a leggende di questo tipo.


All'inizio del 1732, un'epidemia di vampirismo a Meduegya, in Serbia, scatenò il panico tra la gente, tanto da dover inviare l'esercito per riaprire i sepolcri delle persone morte da poco.


Aprirono 13 tombe e soltanto 3 esumati risultarono in via di decompozione e gli altri 10, avevano una carnagione rosea e carni sode e dissezionandoli si scoprì che contenevano sangue fresco.

 

Tutti e 10 i corpi furono decapitati e cremati, finchè del loro corpo rimase solo cenere grigia.


In tempi più recenti, Fritz Haarmann, noto come il "Vampiro di Hannover", fu processato nel 1924 in Germania, per aver ucciso 24 ragazzi, la maggior parte dei quali con un morso alla gola.

 

Il vampiro di Hannover Fritz Haarmann.

John George Haigh, noto come il "Vampiro di Londra", fu impiccato nel 1949, per aver ucciso 9 persone ed averne eliminato i resti, mettendoli in vasche di acido solforico, con il movente principale di aver bevuto il sangue delle sue vittime.


Il Vampiro di Londra John George Haigh.

 

FRANKENSTEIN DI MARY GODWIN O MARY SHELLEY


Il Frankenstein cinematrografico di Mary Godwin, più nota come Mary Shelley.

Fu dall'immaginazione, di una ragazza di appena 10 anni, che scaturì uno dei mostri più terrificanti che siano mai stati concepiti: un'immagine le era apparsa in un sogno ad occhi aperti, mentre una sera cercava di addormentarsi, dopo un'inquietante discussione.


"Quando posai la testa sul cuscino non mi addormentai e nemmeno si può dire che mi misi a pensare. Senza freno, la mia immaginazione prese possesso di me e mi guidò, mostrandomi le immagini successive che si formavano nella mia mente, con una chiarezza al di là dei limiri delle solite fantasticherie. Vidi, con gli occhi chiusi, ma con una visione mentale molto lucida, un pallido studioso di arti sacrileghe inginocchiato accanto alla cosa che aveva costruito. Vidi l'orrendo simulacro di un uomo disteso mostrare segni di vita, grazie agli impulsi di un potente motore e stiracchiarsi con movimenti innaturali, vivo solo a metà".


Le parole appena ascoltate, erano state scritte da Mary Godwin, creatrice della leggenda di Frankenstein, nota al pubblico come Mary Shelley, nata a Londra nel 1797, figlia di Mary Wollstonecraft, una delle più accese femministe d'Inghilterra e di William Godwin, un intellettuale radicale.


William rimase vedovo 10 giorni dopo la nascita di Mary e, quando questa fu in grado di capire, le fece capire di essere stata lei la causa della morte della madre e, per questo, avrebbe dovuto rimediare eguagliandone l'intelligenza, il coraggio morale e le abilità letterarie, diventando in pratica una sostituta della madre morta.


L'autrice di Frankenstein Mary Shelley o Mary Godwin.

Nel 1814 all'età di 17 anni, fuggì con il poeta Percy Bysshe Shelley, un uomo sposato con Harriet, che era incinta, portandosi dietro la sorellastra Jane Clairmont.


Nel febbraio del 1815, Mary diede alla luce una bambina prematura, che morì a marzo ed a gennaio successivo un maschietto che non sopravvisse e la stessa, a tal proposito disse: "Ho sognato che la mia piccola era tornata a vivere. Era soltanto fredda e la frizionavamo davanti al fuoco e tornava in vita".


Nel 1816 Mary, Shelley e Claire stavano trascorrendo una vacanza a Ginevra ed abitavano in una casa in riva al lago, a breve distanza dalla grande villa Diodati, dove vivevano il poeta Lord Byron ed il suo amico John Polidori, quando il personaggio del giovane scienziato Victor Frankenstein fu creato.

 

Villa Diodati in una foto dell'epoca dove Mary Shelley creò il suo Frankenstein e dove vivevano Lord Byron e John Polidori.

Nella villa Diodati, come affermò Mary, "si discuteva di varie dottrine filosofiche e tra l'altro della natura del principio della vita, se vi era qualche possibilità che esso fosse mai scoperto e reso noto. Si parlava degli esperimenti di Darwin, il quale aveva conservato un avanzo di vermicelli, in un contenitore di vetro, finchè questi avevano iniziato a muoversi di moto proprio".


Proprio in quel periodo, l'anatomista italiano Luigi Galvani, aveva scoperto che i muscoli delle cosce di rane dissezionate, potevano contrarsi se veniva applicata una corrente elettrica al nervo spinale e, ne conseguiva, che forse un cadavere poteva essere rianimato.


Mary pensò che "Un cadavere poteva essere rianimato ed il Galvanismo aveva dato chiari indizi in questo senso e forse si poteva perfino fabbricare i componenti di una creatura, mettendoli insieme ed infondendo loro la forza vitale".


Le sere successive, Byron lesse un racconto tedesco, che narrava di un uomo infedele, il quale, nel baciare la sposa la sera delle nozze, la vide trasformarsi nel corpo putrefatto della donna che aveva abbandonato.


Un altro racconto era il Poema di Coleridge, Christabel, ispirato alla storia di Mary e di sua madre e nel poema, la madre maga vampira, distrugge il marito e la figlia Christabel. 


Christabel la protagonista del Poema di Coleridge.

Questi racconti entusiasmarono Byron a tal punto da suggerire, ai presenti, di scrivere un racconto di fantasmi.


I partecipanti persero subito interesse nella sfida, mentre Mary, che nel frattempo era diventata la Signora Shelley, dopo il suicidio di Harriet, non si diede per vinta.


L'abbinamento morte-creazione la ossessionava, tanto che aveva ucciso sua madre e non l'aveva sostituita, cercato di rianimare la figlia ed ascoltato, da novelli prometei, le varie congetture sulle nuove forme di immortalità.


Tra queste la storia del Golem, una creatura leggendaria fatta di argilla, da mano umana, alla quale era stata infusa la vita tramite la magia.


"In una desolata notte di novembre, vidi la fine delle mie fatiche", diceva Victor nel racconto di Mary, la pioggia batteva contro i vetri, mentre il giovane esausto, raccoglieva gli strumenti con i quali avrebbe tentato di infondere la vita, nella creatura che aveva creato, un umanoide alto 2 metri e costruito con organi rubati nei cimiteri.


"Vidi l'occhio giallo e smorto della creatura aprirsi, essa respirò forte ed un movimento convulso agitò le sue membra", ma, "Bello! Signor Iddio! La pelle gialla copriva a malapena il gioco dei muscoli e delle arterie sottostanti, i capelli sparsi erano di un nero corvino, i denti di un bianco perlaceo, ma tutti quei particolari formavano un orribile contrasto, con gli occhi acquosi che sembravano quasi dello stesso colore delle profonde occhiaie, in cui erano infossati, con la pelle raggrinzita, con la linea nera delle labbra", come scrisse l'autrice.


Nel 1818, Mary Shelley pubblicò il suo famoso libro "Frankestein, ovvero il Prometeo Moderno", ed aveva scavato nelle sue profonde paure e dato forma ad un grottesca figura umanoide, che ancora oggi fa pensare che la creazione di tali mostri sia alla portata dell'uomo.


Proprio esaminando questa eventualità, una notte di giugno del 1973 a Murphysboro, nell'Illinois, Randy Creath e Cheryl Ray, una coppietta che parlava in un'automobile parcheggiata lungo la strada, sentirono qualcosa muoversi nei cespugli vicini.


Gli stessi, ammisero in seguito: "In quel momento, la cosa uscì dai cespugli, torreggiante sopra di noi vi era una creatura alta 2 metri, che aveva lunghi capelli ispidi di un bianco sporco e puzzava come la melma del fiume. Dopodichè la creatura si voltò e si mosse goffamente, attraverso la boscaglia, in direzione del fiume".


Creatura vista e disegnata dalla coppia Randy Creath e Cheryl Ray.

Randy, figlio di un poliziotto, non sarebbe stato creduto, assieme a Cheryl, se alcune settimane dopo, 3 operai di un luna-park vicino, un bambino di 4 anni ed una coppia clandestina, non avessero testimoniato, sui fatti di quella sera.


Tutti, tranne il bambino, dissero di aver visto un grande spettro, alto 2 metri con un peso di circa 150/250 chili, con una chioma di colore chiaro, chiazzata di fango.


Tra la casa di Cheryl Ray ed il fiume, la polizia di Murphysboro trovò, in una battuta con 14 uomini guidati da un cane poliziotto, una scia di rami ed erba calpestata.


Sull'erba erano rimasti grumi di melma scura, che avevano l'odore caratteristico della fanghiglia putrefatta e le tracce condussero ad una capanna abbandonata e poi svanirono completamente.


Più tardi si sentirono urli acuti e furono trovate strane orme, sulla sponda fangosa del fiume, ma la creatura misteriosa non fu mai trovata.

 

VLAD L'IMPALATORE - DRACULA DI BRAM STROKER



Vlad l'Impalatore ispirò il personaggio di Dracula.

Romanzieri e poeti del tempo, rimasero suggestionati ed impressionati da questi racconti e, tra questi, i più ispirati furono Goethe, Tolstoj, Robert Southey, Lord Byron, Théophile Gautier ed Alessandro Dumas padre.


Uno scrittore di nome Thomas Prest, nel 1847 pubblicò un libro intitolato "Varney the Vampire; or, The Feast of Blood", composto da 868 pagine, che finì nel dimenticatoio nel 1897, quando Bram Stroker pubblicò il suo famoso libro "Dracula".


Il suo racconto divenne il prototipo del vampiro, costruito intorno a Vlad Basarab, nato in Transilvania intorno al 1430.


Il padre, celebre per le sue crudeltà, era noto come il Principe Dracul, (che può significare allo stesso tempo "drago", "diavolo" o "vampiro"), ma fu meno celebre del figlio Vlad, conosciuto come Dracula.


Quest'ultimo fu principe della Valacchia, che combattè contro i Turchi e guadagnò il suo nome per essere un depravato assassino, considerato dai suoi contemporanei eccessivamente feroce ed efferato.


Ai tempi del suo regno, il suo trono era minacciato dai Turchi ed Ungheresi e, Vald, riuscì a sbarazzarsi dei suoi nemici, trucidandoli e tagliando loro mani e piedi, per farli morire lentamente, per poi infilzarli in cima a dei pali di legno conficcati nel terreno, da qui il soprannome di Vlad l'Impalatore e, si racconta abbia impalato, in un sol giorno, circa 30.000 individui.


Nel 1476, vi erano cadaveri impalati ovunque, cadaveri che uscivano dal Palazzo, cataste e tinozze con teste ed arti tagliati, quando arrivò il sultano Maometto II con il suo esercito, per punire i Valacchi che si erano rifiutati di versare e pagare i tributi.


Maometto II sconfisse il Principe Vlad, detto Dracula,  nel 1476.

Durante lo scontro tra i 2 eserciti, Vlad cadde ucciso e la sua testa fu portata a Costantinopoli, sotto il braccio di un turco vittorioso.

 

ELISABETTA BATHORY LA CONTESSA CHE AMAVA FARE IL BAGNO NEL SANGUE




La folle contessa Elisabetta Bathory faceva il bagno nel sangue delle sue giovani prede.

La contessa della Transilvania, Elisabetta Bathory, nata nel 1560 in una delle più famose e ricche famiglie europee, non solo beveva sangue umano ma amava anche farci il bagno.


Si sposò nel 1575 ed andò a vivere con il Conte Ferencz Nadasdy, detto "l'Eroe Nero" d'Ungheria per le sue prodezze in battaglia, nel castello di Csejthe.


Il conte partì presto in battaglia e lasciò sola Elisabetta, la quale dapprima fuggì con un giovane nobile, per poi ritornare al castello per amoreggiare con la servitù, tra cui le giovani domestiche.


Fu iniziata alla magia nera ed alla stregoneria, dal suo servo Thorko e dalla nutrice Ilona Joo e, nel 1600, quando il marito morì, Elisabetta cacciò dal castello la suocera, mandò i 4 figli da parenti e si dedicò completamente ai suoi macabri piaceri.


Ilona Joo la nutrice di Elisabetta Bathory.

Un giorno una cameriera tirò, incidentalmente, i capelli della contessa mentre le stava rifacendo un'elaborata acconciatura e la contessa la schiaffeggiò così violentemente che, il sangue sgorgò dal naso sulla mano destra di Elisabetta, e quest'ultima si convinse che la pelle bagnata dal sangue della cameriera, fosse più fresca, morbida e giovane.


Chiamò i due dei suoi tirapiedi, il maggiordomo Johannes Ujvary e lo stregone Torko, i quali tagliarono le vene alla cameriera e ne fecero colare il sangue in una tinozza, in modo che la nobildonna potesse farvi il bagno.


Il primo bagno di sangue fu l'inizio di un'orgia che durò ben 10 anni ed alcuni complici, di entrambi i sessi, percorrevano la campagna alla ricerca di ragazze nubili, atte a procurare sangue richiesto dalla contessa, promettendo loro un posto come domestica al castello.


Con l'andar del tempo, Elisabetta diventò imprudente, poichè invece di seppellire i corpi li faceva buttare nei campi, per essere divorati dai lupi ma, una notte d'inverno, i lupi arrivarono in ritardo e degli abitanti del luogo trovarono 4 corpi di giovani fanciulle, sotto le mura del castello, tanto che la notizia giunse alle orecchie dello stesso Re.


Il 30 dicembre del 1610, venne mandato un distaccamento di soldati, al comando di un cugino della contessa, il Conte Gyorgy Thurzo, con l'ordine di fare irruzione del castello di Csejthe.


Il Conte Gyorgy Thurzo.

I soldati entrarono nel castello e nella grande sala, videro giacere a terra una giovane morta ed esangue, mentre un'altra, ancora viva, era stata orribilmente torturata.


Attorno al castello disseppellirono circa 50 corpi di giovani ragazze ed Elisabetta, vista la sua posizione di nobildonna privilegiata, fu messa agli arresti domiciliari, mentre gli altri 16 membri della sua casa, furono rinchiusi nella prigione di Bitcse.


Tutti gli imputati furono riconosciuti colpevoli e 2 di essi furono arsi vivi, altri decapitati e cremati, mentre la contessa fu murata viva, nella sua camera da letto, ed attraverso una piccola fessura nel muro fu consentito il passaggio del cibo e dell'acqua e dopo 4 anni morì.



GIGANTI MOSTRI PRESENTI ANCHE NELLA BIBBIA



Il malvagio gigante, che torreggia sopra la Spagna distrutta dalla guerra, in questo grande dipinto di Goya.

Il Gigante rappresenta, forse, il mostro più familiare che l'uomo abbia creato, simile a lui, soggetto alle stesse passioni ed agli stessi difetti, ma di enormi dimensioni, appare nelle leggende di tutto il mondo e perfino nella Bibbia.


Nella leggenda di Gog e Magog, i due superstiti di una razza sconfitta di giganti britannici, sono costretti da Bruto, loro conquistatore, a fare la guardia al palazzo della città di Londra, appena fondata.


 

Statue di Gog e Magog, giganti sconfitti da Bruto e costretti a fare la guardia al palazzo della città di Londra.

Nella mitologia greca, Titani, Ciclopi e Giganti, sono i figli giganteschi di Urano, (Dio del Cielo), e di Gea, (Dea della Terra).


Nei racconti biblici, i giganti sono il frutto dell'accoppiamento tra angeli caduti e donne mortali, mentre la vittoria di Davide su Golia, simboleggia il trionfo dell'intelligenza sulla forza bruta, quindi del bene sul male.


Nell'Odissea, il terribile e famelico ciclope Polifemo, si lascia facilmente ingannare dal coraggioso ed astuto Ulisse, mentre secondo il mito norvegese, sarebbero i creatori della terra ed i progenitori della razza umana.


Anche le fiabe abbondano di giganti, secondo lo psicologo Bruno Bettelhein, nel suo libro Il Mondo Incantato, nelle quali i bambini si identificano con gli eroi piccoli, ma intelligenti, che superano in astuzia i giganti.


Nella vita reale, i giganti hanno fatto da servitori, soldati o attori d'avanspettacolo, come nel caso di Elisabetta I e Giorgio IV, i monarchi inglesi che costringevano i giganti a fare da portatori, od i soldati sotto le bandiere Russe e Prussiane.


Una fanciulla gigante in una scena pastorale dipinta dalla pittrice Leonora Carrington.

Oliver Cromwell, un condottiero e politico inglese, aveva il proprio gigante, un pazzo religioso di nome Daniel, che finì i suoi giorni, predicando un folle vangelo dietro le sbarre di Bedlam.


Tra i primi ad indicare discrepanze tra romanzo e realtà, fu lo zoologo francese, Isidore Geoffroy Saint-Hilaire, che descrisse le persone affette da gigantismo, come esseri inattivi, senza energia e lenti nei movimenti, deboli di corpo e di intelletto.


Quando, finalmente, si fece risalire l'origine di una malattia, nota come Acromegalia, un tumore della ghiandola pituitaria, divenne chiaro il collegamento con il gigantismo, e questi soggetti furono emarginati dalla società, vittime del loro stesso corpo e della crudeltà altrui.


Quattro giganti irlandesi, del XIX secolo, tre dei quali si chiamavano Patrick O'Brien, vissero nel terrore di essere dissezionati dagli scienziati, dopo la loro morte ed, il più alto gigante conosciuto, Robert Wadlow, (vedi foto sotto), dell'Illinois, visse costantemente in pena a causa della sua crescita incontrollata.


A sinistra Robert Wadlow alto 2,75 metri, a destra Anna Swann, alta 2,40 metri, si esibiva al Circo Barnum nel 1865.

Aveva raggiunto 1,90 metri di altezza, all'età di 10 anni e quando morì, a 22 anni, misurava 2,75 metri, tanto che il suo cervello era così lontano dai suoi piedi, che non avvertiva nemmeno il dolore, allo stadio finale, dell'infezione che lo portò alla morte.

 

FATE DI COTTINGLEY DI ELSIE WRIGHT




Foto delle presunte Fate di Cottingley.

Le Fate popolano un universo parallelo di luci ed ombre mutevoli, familiari a noi quanto lo sono le fiabe dell'infanzia, eppure inafferrabili come un sogno semidimenticato.


Le fate sono incantevoli, stravaganti, ingannevoli e scaltre, a mezza strada tra i demoni e noi stessi, forme fragili ed evanescenti.


Gli studiosi hanno classificato 2 gruppi di fate: Il primo gruppo è composto tutti coloro che appartengono alla razza ed al popolo di Elfi e Fate, che risiedono in un regno nascosto e senza tempo, governato da un Re ed una Regina, come ad esempio, Titania, Oberon e Campanellino.


La fata Campanellino della storia di Peter Pan.

Gli incauti esseri umani che le incontrano, mentre stanno cantando e danzando al chiaro di luna, spesso cadono in loro potere, trascorrendo centinaia di anni nel regno delle fate, pensando sia passato un sol giorno.


La seconda categoria comprende esseri che amano occuparsi delle faccende umane, talvolta come benefattori altre come portatori di guai.


Gli gnomi rattoppano le scarpe durante la notte, i nani scavano miniere per trovare l'oro, le dame bianche, (leggi qui il mio articolo in proposito), gridano ai moribondi per riposare.


I folletti ed i coboldi, sono amici della casa e finiscono i lavori, mentre la famiglia dorme, ma sono pronti a nascondere una scopa o rovesciare un barattolo di farina, se il loro umore cambia.


I viaggiatori che smarriscono la strada, cadono preda dei folletti, i troll terrorizzano i passanti ed i gremlin, danzano sulle ali degli aeroplani, mandando i piloti fuori rotta.


Le fate di Cottingley, riguardano le foto realizzate da Elsie Wright e sua cugina, Frances Griffiths, nelle quali, assieme alla ragazza, sono presenti delle fate che danzano attorno ad Elsie, librandosi in aria, (vedi foto sotto).


 

Fate fatte con ritagli di carta dalla sedicenne Elsie Wright e pubblicata nel 1920 da Arthur Conan Doyle, conosciuta come le fate di Cottingley.

Nel 1920, Arthur Conan Doyle, padre di Sherlock Holmes, vide e studiò le foto, con le quali pubblicò un articolo sul giornale, in cui lo stesso era convinto dell'autenticità delle stesse.


 

Arthur Conan Doyle il padre di Sherlock Holmes, si interessò alle Fate di Cottingley.

Tra scetticismo e credibilità, le foto fecero il giro del mondo e, l'anno seguente, le cugine proposero altre foto a sostegno della loro autenticità.


In totale le foto furono 5 e più che dimostrare l'esistenza di quelle creature fatate, Doyle era interessato a sostenere le sue idee sullo spiritismo e far leva su un pubblico che fosse più sensibile e ricettivo all'argomento.


Dopo anni di dibattiti, nel 1983, Frances Griffiths e l'anno successivo, Elsie Wright, ammisero che le foto erano un falso, create da loro utilizzando ritagli di carta, per fare uno scherzo ai loro genitori che, non credevano alle fate.


Con le tecnologie moderne sarebbero state subito smascherate, ma a quei tempi, vuoi l'ignoranza, vuoi la facile credulità di eventi sconosciuti, le foto ebbero, per molto tempo, un eco mondiale tale da farle apparire reali.


I MOSTRI FABBRICATI DALL'UOMO



Nei suoi racconti di viaggio, Marco Polo disse di aver incontrato esseri umani dalla testa di cane.

Marco Polo, tornando in Italia dopo aver trascorso molti anni in Cina, si espresse duramente sul traffico disgutoso, al quale aveva assistito mentre passava da Sumatra, in Indonesia.


Descrisse le operazioni ingegnose e diaboliche che venivano fatte sui corpi di piccole scimmie morte, in modo da farle sembrare piccoli esseri umani rimpiccioliti.


"Desidero anche farvi sapere che i pigmei, che alcuni viaggiatori asseriscono di aver portato dall'India, sono una menzogna ed un inganno, perchè posso dirvi che queste creature, che chiamiamo uomini, vengono fabbricati in quell'isola e vi dirò come", raccontò in seguito Polo.


Nel XVI secolo, la gente era affascinata dai draghi e quindi, si fabbricavano mutilando una specie di lucertola volante, importata dall'Estremo Oriente, oppure utilizzando la carcassa di una specie di manta, nel cui ventre vi sono dei segni che hanno una vaga rassomiglianza con un volto umano.


Riempendo il ventre di quest'ultime, ricoprendole di scaglie e lasciarle seccare al sole, apparivano come cuccioli di drago.


Tali creature sono conosciute con il nome inglese di Jenny Haniver, (vedi foto sotto), e rappresentavano draghi, basilischi e mostri simili a serpenti e vennero venduti fino al 1930.


Un Jenny Haniver come questo, fu venduto a Londra nel 1970, ed era composto da parti di animali marini.


Verso la metà del XIX secolo, il famoso Circo Barnum, esponeva al pubblico la famosa Sirena Feejee, un ibrido di 60 cm, di scimmia e di pesce.

 

Locandina del Circo Barnum con le attrazioni presentate tra cui la Sirena Feejee al centro.

Le sue origini erano ignote, ma il suo interesse attirava numerosi visitatori che credevano che la creatura fosse stata recuperata chissà dove.


Altri esseri, come l'Orang Pendek, un uomo-scimmia dell'Isola di Sumatra, era stato visto per generazioni nella giungla.


Misurava tra i 75 cm ed il metro e mezzo, aveva la pelle rosea ed era molto peloso, camminando in forma eretta.


Un esemplare simile fu trovato, nel 1932, ma ad un esame più attento si scoprì si trattasse di un Lotong, una specie di scimmia.


Tempo dopo fu la volta dell'Uomo di Piltdown, di cui vennero scoperti alcuni frammenti nel Sussex, tra il 1908 ed il 1913.


Lo scienziato Alvan Marston con in mano il cranio dell'uomo di Piltdown.

Esami successivi, appurarono si trattasse di una specie intermedia, finchè nel 1953, si scoprì che i resti appartenevano ad un orangotango ed uno scheletro paleolitico, creato artificialmente, quindi un falso.


Negli anni '60, il famoso "Uomo di Ghiaccio", fu mostrato al pubblico in Minnesota.


Questa creatura era ricoperta di pelliccia, ma il corpo, mani e piedi, erano il risultato di un incrocio tra una scimmia ed un uomo, ed il proprietario di questo strano essere, disse di averlo scoperto congelato in un blocco di ghiaccio galleggiante, a largo delle coste della Siberia, ma successivamente cambiò la sua versione, asserendo di averlo sparato e di averlo congelato lui stesso.


I MOSTRI DEL CINEMA


 

Il Fantasma dell'Opera, presente ad un ballo con il travestimento da scheletro, era un uomo orribilmente sfigurato che viveva in una cella sotterranea sotto il Teatro dell'Opera di Parigi.

Nel 1896, il film Il Castello del Diavolo, vedeva protagonista un vampiro che già succhiava sangue, mentre nel 1908, il dottor Jekyll si trasformava in Mr. Hyde, in un film girato a Chicago.


Nel 1931 Bela Lugosi creò il primo vampiro della storia, il Conte Dracula.

Nel 1910, la mostruosa creatura del dottor Frankenstein, vacillava davanti agli spettatori, grazie al genio di Thomas Alva Edison, (vedi qui il mio articolo in proposito).


Lon Chaney interpreta il Fantasma dell'Opera nel film del 1925.

Da allora il cinema ha sfornato mostri come mummie, lupi mannari, zombi ed altre creature moderne, terrorizzando intere platee di spettatori appassionati, tuffandosi in un mondo fantastico, dove il trionfo del bene sul male è sempre garantito.


Frankestein interpretato da Boris Karloff ed il Conte Orlock in Nosferatu, interpretato da Max Schreck.

Lon Chaney jr. impersona L'uomo Lupo nel 1941.


L'ABOMINEVOLE UOMO DELLE NEVI LO YETI

 

Sasquatch californiano catturato in un video del 1967.

Alcuni ricercatori sostengono che la mutazione genetica di una grande scimmia antropomorfa, potrebbe aver dato rigine a creature erette, con una grossolana rassomiglianza con l'uomo, (leggi il mio articolo in proposito).


Tali creature sono note con vari nomi, tra cui Sasquatch, Bigfoot, Yeti, Scimmia delle Paludi, Abominevole Uomo delle Nevi o Scimmia Puzzola.


Lo Yeti è noto agli abitanti dell'Himalaya, da almeno 2 secoli ed i Tibetani lo includono nella loro fauna locale, insieme agli orsi, leopardi delle nevi, scimmie ed i gatti-civette.


Solo nel 1832, il mondo occidentale conobbe Bigfoot, quando Brian Houghton Hodgson, il primo residente britannico in Nepal, pubblicò un articolo, in cui i portatori nepalesi erano terrorizzati da una creatura, che descrivevano come eretta, senza coda e coperta da un lungo pellame nero.


Brian Houghton Hodgson fu il primo a parlare di Yeti.

Trascorsero altri 50 anni, prima che un altro occidentale trovasse qualche indizio, a sostegno dello sconosciuto animale dell'Himalaya.


Il maggiore inglese, Laurence Waddell, trovò grandi orme nella neve del Sikkin, ad oltre 5.000 metri di quota ed i suoi portatori dissero che si trattava di orme di Yeti.


Nel suo libro, Among the Himalayas, trattò della credenza dei Tibetani in un uomo peloso, delle nevi, noto come lo Yeh Teh, nel dialetto sherpa, dichiarando di non aver mai visto personalmente, la creatura in questione.


L'esploratore Laurence Waddell, nel suo libro Among the Himalayas, parla di orme lasciate sulla neve da uno Yeti chiamato Yeh Teh.

Nel novembre del 1951, due alpinisti inglesi, Eric Shipton e Michael Ward, di ritorno da una ricognizione sull'Everest, stavano esplorando il ghiacciaio Menlung, a circa 6.000 metri di quota, quando videro una serie di orme fresche, che si susseguivano per circa 2 km. sul ciglio di una parete di ghiaccio.


Shipton ne fotografò una in due foto, prendendo come metro di paragone una volta lo stivale di Ward e l'altra una picozza.


Le foto rivelarono l'impronta di un piede con 5 dita, lungo più di 33 cm. e largo circa 20 cm., con un calcagno largo.


Impronta nelle nevi lasciata dallo Yeti, in Himalaya, fotografata nel 1951, dallo scalatore Eric Shipton.

 

Shipton, asserì: "Dell'esistenza di una grande creatura scimmiesca, praticamente sconosciuta alla scienza o almeno non contemplata nella fauna conosciuta dell'Asia centrale".


La caccia allo Yeti, fece furore negli anni '50 e '60, senza nessun ritrovamento, fino al 1970 quando, Don Whillans, capo in seconda della spedizione inglese che affrontò il versante meridionale dell'Annapurna, trovò e fotografò una serie di impronte, a circa 4.000 metri di quota nel Nepal.


Impronta di Yeti fotografata da Don Whillans sul versante dell'Annapurna.


Più tardi, durante la notte, guardò fuori la tenda e scorse una creatura scimmiesca, che si aggirava a 4 gambe su una cresta e la vide soltanto una volta di sfuggita.


Nel dicembre del 1972, i membri della spedizione Arun Valley Wildlife, fecero un viaggio di ricognizione nella valle fluviale tra l'Everest ed il Kangchenjunga, fino alle alte quote del monte Kongma La Pass.


Qui furono prove dell'esistenza di una misteriosa creatura ed il 17 dicembre, lo zoologo Edward Cronin ed il dottor Howard Emery, assieme a due sherpa, montarono il campo base a circa 3.600 metri di quota.


Prima dell'alba del giorno dopo, una serie di orme fresche, passava accanto alle tende, indicando che chiunque si fosse arrampicato fin li, avrebbe richiesto una gran forza ed agilità.


I due scienziati fotografarono le impronte e più tardi, lo studioso Jeffrey Mc Neely, fece dei calchi in gesso delle orme, (vedi foto sotto), e vide che erano molto simili a quelli delle foto dei 2 scienziati, arrivando alla conclusione che fossero di una grande scimmia eretta.


Calco in gesso di Jeffrey Mc Neely, sulla base delle foto di Edward Cronin e Howard Emery, di un presunto avvistamento Yeti.


Bigfoot è una leggenda già presente nella tradizione degli Indiani d'America da secoli, ed oggetto di ben 245 leggende in Canada e negli Stati Uniti.


Il primo accenno, a presunte orme, risale al 1811, quando un noto esploratore David Thompson, mentre si trovava tra le Montagne Rocciose per raggiungere il fiume Columbia, si imbattè in una serie di impronte che misuravano 42 cm. di lunghezza e 24 cm. di larghezza e da allora 750 persone affermarono di aver visto una creatura e le sue impronte.


Nel 1924, un minatore di nome Fred Beck, che lavorava nello Stato di Washington ad una vena dell'Ape Canyon, sparò ad una grande creatura, che apparve sul ciglio del canyon.


Il minatore Fred Beck ed il disegno dello Yeti che sparò ad Ape Canyon.

La stessa notte un'orda di creature, assalì la baracca di Beck, picchiando sul tetto e sulle pareti, nel tentativo di penetrare all'interno.


Cinque ore dopo il loro assedio, i visitatori andarono via, lasciando come testimonianza, centinaia di orme sulla neve fresca.


Nel 1962, Harlan Ford, un vigile in pensione, ed il suo amico, Billy Mills, costruirono un riparo di caccia, nella palude di Honey Island, tra il Mississippi e la Louisiana.


Una mattina, mentre stavano portando a casa delle provviste, videro una figura tozza, con i piedi nel fango, ad una distanza da loro di circa 10 metri.


 

Harlan Ford mostra i calchi delle impronte di Yeti trovate nella palude di Honey Island.

Questi si alzò in piedi e li fissò, con le spalle ed il petto enormi, con il volto stranamente umano, per poi scomparire attraverso i cespugli.


Nel 1969 a Bossburg, nello Stato di Washington, furono trovate una serie di orme, da parte di Joe Rhodes.


Questi riferì la sua scoperta ai cacciatori di sasquatch, Ivan Marx e Rene Dahinden, i quali trovarono circa 1.089 impronte, lunghe 44 cm. e larghe 18 cm.


Nel 1935, il paleontologo olandese, Ralph Von Koenigswald, di passaggio ad Hong Kong, entrò nella bottega di un erborista, rovistando nella collezione di ossa fossili e denti, ridotti in polvere come potenti curanti.


Qui trovò un terzo molare inferiore di misura enorme, più grande di qualsiasi scimmia vivente ai tempi.


Denti di Gigantopithecus trovati da Ralph Von Koenigswald.

Il negoziante non seppe spiegare l'origine del dente e Von Koenigswald, si appassionò così tanto alla ricerca di altri esemplari, che nel 1954 aveva raccolto 19 di questi enormi denti e scoprendone altri 49.


Stabilì che dovevano essere di una specie di scimmia gigante, che chiamò Gigantopithecus.


Ad oggi nessuna ricerca ha mai appurato l'esistenza di queste creature, che oggi chiamiamo mostri, e chissà se in futuro la verità verrà fuori o semplicemente si aggiungeranno alle leggende che ci tramandiamo da secoli.










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